Benedetto Varchi, con la sua opera di traduttore e commentatore di Aristotele, fece uscire la dottrina dei filosofi dalle aule universitarie, attuando i propositi espressi da Pietro Pomponazzi nel "Dialogo delle lingue", scritto dal suo allievo e poi “infiammato” Sperone Speroni, che auspicava la resa in lingua volgare delle materie allora insegnate esclusivamente in latino. La gran parte delle lezioni pronunciate all’Accademia Fiorentina nell’arco di vent’anni documenta il suo impegno di volgarizzatore aristotelico. Nelle letture accademiche, il letterato fondò i commenti a Dante e Petrarca sulle premesse filosofiche, secondo i principi maturati in lui tra gli accademici Infiammati, accanto alle figure di Speroni e Alessandro Piccolomini e corroborati dagli insegnamenti degli esegeti della "Poetica", Bartolomeo Lombardi e Vincenzo Maggi, allora professore nello Studio patavino. E Varchi traspose la dottrina filosofica al volgare per mezzo della resa del "lexicon" aristotelico. Indagando la pluralità dei significati delle parole, il letterato fiorentino rese in volgare un aspetto essenziale della teoria di Aristotele. Trasferire in volgare la materia filosofica voleva dire restituire tutta la complessità della disciplina, incorporando i testi in un’esposizione resa con un linguaggio concettualmente robusto, dunque dotato di terminologia tecnica ben definita. Il lavoro di Varchi traduttore e commentatore si concretò nella ricerca della forma espressiva aderente alla materia filosofica; la prassi traduttoria poggiava quindi su analisi semantica e chiarificazione dei concetti, nonché su un preciso ordine nella disposizione della materia trattata, così come questa era articolata nei testi originali.

«Fare in modo che s’intenda». La scienza tradotta di Benedetto Varchi

A. Siekiera
2018-01-01

Abstract

Benedetto Varchi, con la sua opera di traduttore e commentatore di Aristotele, fece uscire la dottrina dei filosofi dalle aule universitarie, attuando i propositi espressi da Pietro Pomponazzi nel "Dialogo delle lingue", scritto dal suo allievo e poi “infiammato” Sperone Speroni, che auspicava la resa in lingua volgare delle materie allora insegnate esclusivamente in latino. La gran parte delle lezioni pronunciate all’Accademia Fiorentina nell’arco di vent’anni documenta il suo impegno di volgarizzatore aristotelico. Nelle letture accademiche, il letterato fondò i commenti a Dante e Petrarca sulle premesse filosofiche, secondo i principi maturati in lui tra gli accademici Infiammati, accanto alle figure di Speroni e Alessandro Piccolomini e corroborati dagli insegnamenti degli esegeti della "Poetica", Bartolomeo Lombardi e Vincenzo Maggi, allora professore nello Studio patavino. E Varchi traspose la dottrina filosofica al volgare per mezzo della resa del "lexicon" aristotelico. Indagando la pluralità dei significati delle parole, il letterato fiorentino rese in volgare un aspetto essenziale della teoria di Aristotele. Trasferire in volgare la materia filosofica voleva dire restituire tutta la complessità della disciplina, incorporando i testi in un’esposizione resa con un linguaggio concettualmente robusto, dunque dotato di terminologia tecnica ben definita. Il lavoro di Varchi traduttore e commentatore si concretò nella ricerca della forma espressiva aderente alla materia filosofica; la prassi traduttoria poggiava quindi su analisi semantica e chiarificazione dei concetti, nonché su un preciso ordine nella disposizione della materia trattata, così come questa era articolata nei testi originali.
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