La tesi si propone di analizzare i diversi elementi che hanno generato ed agevolato l’emancipazione della condizione femminile in età contemporanea, muovendo dall’età giolittiana ed attraversando quasi l’intero Ventennio, fino ai preparativi del secondo conflitto mondiale. Lo studio inizia da una prospettiva generale per poi focalizzare l’attenzione sul vissuto di Margherita Sarfatti e Camilla Ravera. Attraverso le due parabole individuali, cioè, lo scopo è quello di evidenziare il superamento dell’ormai passata – parafrasando Victoria de Grazia – “eredità liberale”, mediante un’attiva partecipazione alla vita politico-sociale, nonché artistico-culturale della Nazione – anche se non sempre ben accolta dall’uomo “nuovo”. Con questa ipotesi di lavoro mi sono avvalsa delle fonti reperite presso i seguenti fondi documentali: l’Archivio Centrale dello Stato, l’archivio dell’Istituto Gramsci e l’Archivio del Novecento presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, MART, con sede a Rovereto. Come progettato, grazie alle carte compulsate in questi luoghi mi è stato possibile seguire una sorta di binario parallelo, una specie di confronto permanente tra le parabole umane, culturali e politiche della “piccola grande signora del PCI” – per dirla con le parole di Nora Villa – e dell’ “altra donna del Duce” – come rimarcavano Cannistraro e Sullivan – intrecciando la loro vicenda con quella di osservatori esterni. Questo è stato utile per la ricostruzione di alcune vicende e per effettuare, laddove era fattibile, un confronto al fine di avere una visione il più possibile obiettiva. La Sarfatti e la Ravera muovono entrambe da convinzioni socialiste. La prima, la “vergine rossa”, le professava fin dagli anni veneziani; la seconda, la riservata piemontese le scopriva invece nella “maturità”. Come è noto, hanno poi preso strade profondamente diverse: Margherita accanto a Benito Mussolini e Camilla nella milizia tra le fila del Partito Comunista d’Italia. Pertanto, ho cercato di ricostruire alcune dinamiche partendo da un vissuto privato, dandone una percezione anche personale. In altre parole, ciò che ricostruisco è il corso degli eventi in relazione ai personaggi che li hanno vissuti – e alle relative impressioni, sensazioni. Proprio per questo, ovviamente, la narrazione deve tener conto di un limite intrinseco, poiché la fonte scritta, spesso, non riporta un fatto come è realmente accaduto, ma come l’autore del documento lo percepisce o come lo vuole percepire. In quanto tale, esso è corredato da una distorsione della verità, inevitabile e più o meno intenzionale. Ecco perché nel visionare le carte di cui sono venuta in possesso ho cercato di “guardare”, contemporaneamente, sia dall’esterno che dall’interno, intersecando costantemente i piani e i punti di vista. Per assolvere a questo compito, in merito all’ex prima donna del Regime, sono stati utilizzati dei documenti dell’ACS – presenti in ridotta quantità perché, appartenendo lei alla fazione “giusta”, non aveva a suo “carico”, come nel caso dei dissidenti, nessun faldone di polizia zeppo di scartoffie bensì delle cartelline dalle modeste dimensioni – ma soprattutto le carte del MART. Di contro c’era Camilla Ravera. Per ricostruire il suo vissuto ho effettuato un duplice percorso: uno interno, basato cioè su fonti quasi dirette perché appartenute alla protagonista e comunque tramandate dalla sua frazione politica; e l’altro esterno, basato cioè su fonti custodite dagli uffici del Regime e pertanto deformi, in alcune informazioni – nel senso che tutto era guardato secondo l’ottica fascista. Per quel che ha riguardato, invece, il percorso “interno”, con questa espressione mi riferisco al fatto che la documentazione è appartenuta direttamente alla Ravera o comunque non è soggetta a quel pregiudizio di cui possono risentire le carte custodite presso l’ACS. Si tratta, insomma, di ricerche condotte sempre a Roma, ma presso il “Gramsci”. Presso questa struttura ho compulsato il Fondo Memorie e Testimonianze, relativamente al fascicolo personale di Camilla Ravera, reperendo varie carte riguardanti perlopiù il periodo degli anni ’20 e ’30 che narrano il periodo della segreteria clandestina, dell’arresto nel 1930 e qualche altra vicenda raccontata da lei stessa o da qualche suo “compagno”. Ad ogni modo, al termine di questo lavoro ciò che si auspica è che si riesca – dall’intreccio delle notizie reperite – ad “impreziosire” questa pagina della storia italiana con qualche elemento di inedito interesse.

Camilla Ravera e Margherita Sarfatti: due parabole umane a confronto

MANCINO, BENEDETTA
2014-06-06

Abstract

La tesi si propone di analizzare i diversi elementi che hanno generato ed agevolato l’emancipazione della condizione femminile in età contemporanea, muovendo dall’età giolittiana ed attraversando quasi l’intero Ventennio, fino ai preparativi del secondo conflitto mondiale. Lo studio inizia da una prospettiva generale per poi focalizzare l’attenzione sul vissuto di Margherita Sarfatti e Camilla Ravera. Attraverso le due parabole individuali, cioè, lo scopo è quello di evidenziare il superamento dell’ormai passata – parafrasando Victoria de Grazia – “eredità liberale”, mediante un’attiva partecipazione alla vita politico-sociale, nonché artistico-culturale della Nazione – anche se non sempre ben accolta dall’uomo “nuovo”. Con questa ipotesi di lavoro mi sono avvalsa delle fonti reperite presso i seguenti fondi documentali: l’Archivio Centrale dello Stato, l’archivio dell’Istituto Gramsci e l’Archivio del Novecento presso il Museo d’Arte Moderna e Contemporanea, MART, con sede a Rovereto. Come progettato, grazie alle carte compulsate in questi luoghi mi è stato possibile seguire una sorta di binario parallelo, una specie di confronto permanente tra le parabole umane, culturali e politiche della “piccola grande signora del PCI” – per dirla con le parole di Nora Villa – e dell’ “altra donna del Duce” – come rimarcavano Cannistraro e Sullivan – intrecciando la loro vicenda con quella di osservatori esterni. Questo è stato utile per la ricostruzione di alcune vicende e per effettuare, laddove era fattibile, un confronto al fine di avere una visione il più possibile obiettiva. La Sarfatti e la Ravera muovono entrambe da convinzioni socialiste. La prima, la “vergine rossa”, le professava fin dagli anni veneziani; la seconda, la riservata piemontese le scopriva invece nella “maturità”. Come è noto, hanno poi preso strade profondamente diverse: Margherita accanto a Benito Mussolini e Camilla nella milizia tra le fila del Partito Comunista d’Italia. Pertanto, ho cercato di ricostruire alcune dinamiche partendo da un vissuto privato, dandone una percezione anche personale. In altre parole, ciò che ricostruisco è il corso degli eventi in relazione ai personaggi che li hanno vissuti – e alle relative impressioni, sensazioni. Proprio per questo, ovviamente, la narrazione deve tener conto di un limite intrinseco, poiché la fonte scritta, spesso, non riporta un fatto come è realmente accaduto, ma come l’autore del documento lo percepisce o come lo vuole percepire. In quanto tale, esso è corredato da una distorsione della verità, inevitabile e più o meno intenzionale. Ecco perché nel visionare le carte di cui sono venuta in possesso ho cercato di “guardare”, contemporaneamente, sia dall’esterno che dall’interno, intersecando costantemente i piani e i punti di vista. Per assolvere a questo compito, in merito all’ex prima donna del Regime, sono stati utilizzati dei documenti dell’ACS – presenti in ridotta quantità perché, appartenendo lei alla fazione “giusta”, non aveva a suo “carico”, come nel caso dei dissidenti, nessun faldone di polizia zeppo di scartoffie bensì delle cartelline dalle modeste dimensioni – ma soprattutto le carte del MART. Di contro c’era Camilla Ravera. Per ricostruire il suo vissuto ho effettuato un duplice percorso: uno interno, basato cioè su fonti quasi dirette perché appartenute alla protagonista e comunque tramandate dalla sua frazione politica; e l’altro esterno, basato cioè su fonti custodite dagli uffici del Regime e pertanto deformi, in alcune informazioni – nel senso che tutto era guardato secondo l’ottica fascista. Per quel che ha riguardato, invece, il percorso “interno”, con questa espressione mi riferisco al fatto che la documentazione è appartenuta direttamente alla Ravera o comunque non è soggetta a quel pregiudizio di cui possono risentire le carte custodite presso l’ACS. Si tratta, insomma, di ricerche condotte sempre a Roma, ma presso il “Gramsci”. Presso questa struttura ho compulsato il Fondo Memorie e Testimonianze, relativamente al fascicolo personale di Camilla Ravera, reperendo varie carte riguardanti perlopiù il periodo degli anni ’20 e ’30 che narrano il periodo della segreteria clandestina, dell’arresto nel 1930 e qualche altra vicenda raccontata da lei stessa o da qualche suo “compagno”. Ad ogni modo, al termine di questo lavoro ciò che si auspica è che si riesca – dall’intreccio delle notizie reperite – ad “impreziosire” questa pagina della storia italiana con qualche elemento di inedito interesse.
The lives of Camilla Ravera and Margherita Sarfatti
6-giu-2014
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