Una documentazione consistente, per quanto frammentaria, evidenzia la presenza tra la fine del Cinquecento e la metà del secolo successivo di diversi zingari in molte aree del Mezzogiorno spagnolo. Fu il loro, in molti, casi quello che potremmo definire un “insediamento dinamico”, specie sulle coste abruzzesi e pugliesi e in Calabria, in spazi - montagne, pascoli boschivi, aree portuali -, in cui attivarono risorse proprie dell’economia di transito, grazie a pratiche produttive (commercio itinerante di bestiame e attrezzi agricoli) capaci di convivere, se non di promuovere, la mobilità di gruppi e individui. In questi spazi di transito alcune comunità, che pure non avevano una dimora stabile, riuscirono a sottrarsi alle politiche di espulsione attuate dal governo vicereale grazie alla negoziazione con le autorità locali di uno speciale salvacondotto. Il saggio, oltre a evidenziare, grazie a un inedito riscontro documentale, la veridicità delle “patenti” di capitano di zingari, di cui finora si aveva traccia soltanto nella tradizione letteraria e iconografica, fa luce sulle modalità che ne regolamentavano il rilascio da parte del Consiglio Collaterale, massimo organo giurisdizionale del Regno di Napoli. Dallo studio di tale documentazione e quello di una nutrita comunità di zingari, vissuta tra la fine del XVI e gli inizi del XVIII secolo in un’area immediatamente suburbana della città di Napoli, emerge la situazione liminale degli zingari napoletani, stretti in uno spazio “di confine” tra l’appartenenza alla “nazione zingara” e l’aspirazione alla acquisizione delle prerogative proprie della cittadinanza. La patente ne legittimava in sostanza, infatti, l’appartenenza a una comunità ‘mobile’, ma giuridicamente riconosciuta, non esclusa dalla attivazione di risorse e, soprattutto, non assimilabile a quella dei miserabili o dei vagabondi.

Pluralità di appartenenze. Gruppi e individui di "nazione zingara" nel Mezzogiorno spagnolo

NOVI CHAVARRIA, Elisa
2014-01-01

Abstract

Una documentazione consistente, per quanto frammentaria, evidenzia la presenza tra la fine del Cinquecento e la metà del secolo successivo di diversi zingari in molte aree del Mezzogiorno spagnolo. Fu il loro, in molti, casi quello che potremmo definire un “insediamento dinamico”, specie sulle coste abruzzesi e pugliesi e in Calabria, in spazi - montagne, pascoli boschivi, aree portuali -, in cui attivarono risorse proprie dell’economia di transito, grazie a pratiche produttive (commercio itinerante di bestiame e attrezzi agricoli) capaci di convivere, se non di promuovere, la mobilità di gruppi e individui. In questi spazi di transito alcune comunità, che pure non avevano una dimora stabile, riuscirono a sottrarsi alle politiche di espulsione attuate dal governo vicereale grazie alla negoziazione con le autorità locali di uno speciale salvacondotto. Il saggio, oltre a evidenziare, grazie a un inedito riscontro documentale, la veridicità delle “patenti” di capitano di zingari, di cui finora si aveva traccia soltanto nella tradizione letteraria e iconografica, fa luce sulle modalità che ne regolamentavano il rilascio da parte del Consiglio Collaterale, massimo organo giurisdizionale del Regno di Napoli. Dallo studio di tale documentazione e quello di una nutrita comunità di zingari, vissuta tra la fine del XVI e gli inizi del XVIII secolo in un’area immediatamente suburbana della città di Napoli, emerge la situazione liminale degli zingari napoletani, stretti in uno spazio “di confine” tra l’appartenenza alla “nazione zingara” e l’aspirazione alla acquisizione delle prerogative proprie della cittadinanza. La patente ne legittimava in sostanza, infatti, l’appartenenza a una comunità ‘mobile’, ma giuridicamente riconosciuta, non esclusa dalla attivazione di risorse e, soprattutto, non assimilabile a quella dei miserabili o dei vagabondi.
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