L'opportunità e l'efficacia della nuova regola preclusiva all'uso della custodia cautelare in carcere, introdotta di recente nell'art. 275 c.p.p. e basata sulla previsione da parte del giudice della futura (ed eventuale) misura della pena irrogata in sede di condanna, sono già state oggetto di un serrato dibattito, che ha fatto emergere le non poche criticità di un provvedimento forse non adeguatamente meditato. Trattandosi di un intervento normativo che si colloca alla intersezione tra il versante processuale e quello sostanziale, questa novità legislativa offre però anche l'occasione per una riflessione più ampia sui pericoli che derivano dalla inadeguata consapevolezza e dalla scarsa padronanza delle dinamiche integrate che caratterizzano il funzionamento del sistema penale. Nel presente contributo l'attenzione viene in particolare rivolta all'analisi dei rischi che possono scaturire da una indebita confusione tra il piano della misure cautelari e quello della pena. Nonostante in questo caso la finalità sia quella, del tutto condivisibile, di limitare l'uso e possibilmente impedire l'abuso della custodia cautelare in carcere, la strada scelta dal legislatore e la modalità tecnica adottata sembrano infatti in grado di generare effetti distorsivi, i cui riverberi negativi vanno ben oltre lo specifico ambito considerato. Poiché, infine, i due piani del discorso si incrociano in corrispondenza del nodo rappresentato dalla commisurazione della pena, alcune riflessioni finali sono dedicate alla ineludibile, ma di fatto costantemente elusa, esigenza di intervenire in profondità sulle cause della irrazionalità del sistema commisurativo, conferendo maggiore prevedibilità ai contenuti della decisione giudiziale.
Maneggiare con cautela. Per un uso consapevole dei limiti normativi all'uso della custodia in carcere (ancora a proposito dell'art. 275 co. 2 bis c.p.p.)
FIORE, Stefano
2014-01-01
Abstract
L'opportunità e l'efficacia della nuova regola preclusiva all'uso della custodia cautelare in carcere, introdotta di recente nell'art. 275 c.p.p. e basata sulla previsione da parte del giudice della futura (ed eventuale) misura della pena irrogata in sede di condanna, sono già state oggetto di un serrato dibattito, che ha fatto emergere le non poche criticità di un provvedimento forse non adeguatamente meditato. Trattandosi di un intervento normativo che si colloca alla intersezione tra il versante processuale e quello sostanziale, questa novità legislativa offre però anche l'occasione per una riflessione più ampia sui pericoli che derivano dalla inadeguata consapevolezza e dalla scarsa padronanza delle dinamiche integrate che caratterizzano il funzionamento del sistema penale. Nel presente contributo l'attenzione viene in particolare rivolta all'analisi dei rischi che possono scaturire da una indebita confusione tra il piano della misure cautelari e quello della pena. Nonostante in questo caso la finalità sia quella, del tutto condivisibile, di limitare l'uso e possibilmente impedire l'abuso della custodia cautelare in carcere, la strada scelta dal legislatore e la modalità tecnica adottata sembrano infatti in grado di generare effetti distorsivi, i cui riverberi negativi vanno ben oltre lo specifico ambito considerato. Poiché, infine, i due piani del discorso si incrociano in corrispondenza del nodo rappresentato dalla commisurazione della pena, alcune riflessioni finali sono dedicate alla ineludibile, ma di fatto costantemente elusa, esigenza di intervenire in profondità sulle cause della irrazionalità del sistema commisurativo, conferendo maggiore prevedibilità ai contenuti della decisione giudiziale.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.