Il saggio analizza l'idea di crisi dell'immaginazione che caratterizza il pensiero di Giulio Carlo Argan dagli anni Settanta alla sua scomparsa, collegandolo alla sua idea di crisi della città e della stessa arte. Nel suo celebre volume "L’arte moderna 1770-1970", Argan delinea con grande lucidità questa situazione di difficoltà, focalizzando nella pop art il “punto di arrivo del processo di degradazione e dissoluzione dell’oggetto in quanto termine individuato di un dualismo conoscitivo, di cui l’altro termine è il soggetto, la persona. Nel testo si sottolinea come Argan abbia posto il nucleo centrale della crisi dell’arte in quello che chiama la crisi "dell’oggetto come valore”, "dell’arte come scienza degli oggetti modello", in una serie di cambiamenti epocali che giunge alla “seconda rivoluzione industriale” dove si è passati dalla tecnologia dei prodotti alla tecnologia dei circuiti e dell’informazione a cui lo stesso artista viene sottomesso. Viene messa così in risalto l'idea dello studioso della necessità di un design che organizzi i circuiti dell’informazione, a partire dalla città e dall’ambiente, in un nuovo e obbligato rapporto con la scienza, l’economia, la politica per determinare il ritmo o il tempo della vita associata. In questo senso per Argan Pino Pascali ha rappresentato la figura di un artista- designer in grado di giocare con le icone e le merci-feticcio prodotte dall’industria, capace di delineare un paesaggio nella foresta selvaggia del kitsch delle merci e dei beni di consumo e di controllare i messaggi indotti dalla comunicazione mediatica incanalandoli in un preciso e forte linguaggio personale. Nello scritto si nota infine che quella che Argan delinea nelle sue riflessioni più tarde è certamente una condizione dove la morte dell’arte non significa la morte dell’esperienza estetica, ma delle tecniche che storicamente le hanno dato forma; solo nel riconoscere la morte (sua e dell'arte stessa) l’uomo può ritrovare la sua essenza reale, tollerando l’angoscia e l’impossibilità dell’esistenza.
Crisi dell’immaginazione e morte dell’arte. Lo sguardo di Argan sui destini della contemporaneità
CANOVA, Lorenzo
2005-01-01
Abstract
Il saggio analizza l'idea di crisi dell'immaginazione che caratterizza il pensiero di Giulio Carlo Argan dagli anni Settanta alla sua scomparsa, collegandolo alla sua idea di crisi della città e della stessa arte. Nel suo celebre volume "L’arte moderna 1770-1970", Argan delinea con grande lucidità questa situazione di difficoltà, focalizzando nella pop art il “punto di arrivo del processo di degradazione e dissoluzione dell’oggetto in quanto termine individuato di un dualismo conoscitivo, di cui l’altro termine è il soggetto, la persona. Nel testo si sottolinea come Argan abbia posto il nucleo centrale della crisi dell’arte in quello che chiama la crisi "dell’oggetto come valore”, "dell’arte come scienza degli oggetti modello", in una serie di cambiamenti epocali che giunge alla “seconda rivoluzione industriale” dove si è passati dalla tecnologia dei prodotti alla tecnologia dei circuiti e dell’informazione a cui lo stesso artista viene sottomesso. Viene messa così in risalto l'idea dello studioso della necessità di un design che organizzi i circuiti dell’informazione, a partire dalla città e dall’ambiente, in un nuovo e obbligato rapporto con la scienza, l’economia, la politica per determinare il ritmo o il tempo della vita associata. In questo senso per Argan Pino Pascali ha rappresentato la figura di un artista- designer in grado di giocare con le icone e le merci-feticcio prodotte dall’industria, capace di delineare un paesaggio nella foresta selvaggia del kitsch delle merci e dei beni di consumo e di controllare i messaggi indotti dalla comunicazione mediatica incanalandoli in un preciso e forte linguaggio personale. Nello scritto si nota infine che quella che Argan delinea nelle sue riflessioni più tarde è certamente una condizione dove la morte dell’arte non significa la morte dell’esperienza estetica, ma delle tecniche che storicamente le hanno dato forma; solo nel riconoscere la morte (sua e dell'arte stessa) l’uomo può ritrovare la sua essenza reale, tollerando l’angoscia e l’impossibilità dell’esistenza.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.