L’attività venatoria, insieme alla raccolta di frutti spontanei, è stata sicuramente la prima attività con la quale l’essere umano si è procurato il proprio sostentamento. E, anche quando l’uomo ha iniziato a dedicarsi alla coltivazione del fondo ed all’allevamento, l’uccisione di animali selvatici ha rappresentato una diffusa occupazione, svolta spesso a fini ludici ma regolamentata dalla legge nei vari contesti nazionali, con la considerazione che l’animale selvatico fosse comunque un oggetto a disposizione dell’uomo. Questa concezione utilitaristica dell’animale si è tuttavia progressivamente scontrata con una visione più empatica nei suoi confronti, secondo la quale egli dovrebbe essere considerato un essere sensibile, capace di pensiero e di sofferenza, e non un mero oggetto di diritti. Proprio in quest’ottica sono stati introdotti strumenti di tutela penale degli animali, in particolare della loro incolumità fisica, che debbono tuttavia trovare un contemperamento con la riconosciuta liceità dell’attività venatoria. Il saggio si prefigge proprio di delineare gli estremi di questa contrapposizione fra la normativa penale che punisce chiunque uccida senza necessità un animale ed il diritto di caccia riconosciuto e regolamentato dal nostro ordinamento
Primo non uccidere: il diritto alla vita dell’animale selvatico e la caccia
F. Traisci
2024-01-01
Abstract
L’attività venatoria, insieme alla raccolta di frutti spontanei, è stata sicuramente la prima attività con la quale l’essere umano si è procurato il proprio sostentamento. E, anche quando l’uomo ha iniziato a dedicarsi alla coltivazione del fondo ed all’allevamento, l’uccisione di animali selvatici ha rappresentato una diffusa occupazione, svolta spesso a fini ludici ma regolamentata dalla legge nei vari contesti nazionali, con la considerazione che l’animale selvatico fosse comunque un oggetto a disposizione dell’uomo. Questa concezione utilitaristica dell’animale si è tuttavia progressivamente scontrata con una visione più empatica nei suoi confronti, secondo la quale egli dovrebbe essere considerato un essere sensibile, capace di pensiero e di sofferenza, e non un mero oggetto di diritti. Proprio in quest’ottica sono stati introdotti strumenti di tutela penale degli animali, in particolare della loro incolumità fisica, che debbono tuttavia trovare un contemperamento con la riconosciuta liceità dell’attività venatoria. Il saggio si prefigge proprio di delineare gli estremi di questa contrapposizione fra la normativa penale che punisce chiunque uccida senza necessità un animale ed il diritto di caccia riconosciuto e regolamentato dal nostro ordinamentoI documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.