Per affrontare il tema dei rischi e delle opportunità derivanti dall’uso turistico dei paesaggi, in particolare dei paesaggi delle transumanza, partirò da una ricerca geografica relativamente recente, condotta presso il Dipartimento di Bioscienze e Territorio dell’Università del Molise (a cui afferisco), nell’ambito degli studi che si vanno lì realizzando, anche a supporto dei corsi di laurea e laurea magistrale (che presiedo) in “Scienze turistiche” e “Management del turismo e dei beni culturali”, nonché del master di II livello in “Progettazione e promozione del paesaggio culturale” (che coordino). L’interesse per me pianificatore territoriale di tale ricerca geografica (Meini et al., 2018) consiste nel suo apporto alla costruzione di uno stato dell’arte delle conoscenze in materia dei paesaggi della transumanza in Molise (e non solo), e soprattutto nel suo intendimento di contribuire alla formazione di un’immagine non stereotipata del geopatrimonio (geoheritage) della transumanza, al fine di: i) promuovere una maggiore consapevolezza della genesi e dell’evoluzione dei paesaggi per i visitatori e le comunità locali, sulla base della convinzione che le sfide future del “geoturismo” riguardino la capacità di ricomporre natura e cultura in un’unità interpretativa, sia dal punto di vista teorico che operativo (ivi: 1); ii) raggiungere un’offerta turistica integrata incentrata sul rapporto tra uomo e ambiente, in particolare organizzando, migliorando e comunicando le vie di transumanza come un paesaggio culturale integrato (ibidem), che può essere apprezzato al meglio tramite ogni forma di slow tourism: walking, hiking, trekking, horse riding, bike riding (ivi: 4). Premesso che per gli autori della citata ricerca il “geoturismo” non va inteso né come una forma di turismo specificamente finalizzata alla scoperta del geopatrimonio di una regione, né come una nuova forma di offerta turistica e/o un segmento di nicchia turistica basato sulle sue caratteristiche geologiche e geomorfologiche, bensì come un tipo di turismo volto alla scoperta integrativa di un territorio, con tutte le sue componenti naturali e umane (ivi: 2), nei paragrafi che seguono riassumerò dapprima uno stato dell’arte delle conoscenze “praticabili” sui “paesaggi della transumanza”, facendo riferimento non esclusivo alla ricerca citata (par. 1); illustrerò poi brevemente l’interessante esperimento, condotto nell’ambito della stessa ricerca, di rigorosa ricostruzione e restituzione dell’“immagine” di un paesaggio della transumanza (par. 2); infine evidenzierò quelli che, dal mio punto di vista disciplinare (ma direi anche transdisciplinare), costituiscono alcuni punti critici riguardanti le ’“immagini” (della transumanza) rivolte a fini anche (geo)turistici (par. 3).

Rischi e opportunità di un uso turistico dei paesaggi della transumanza

Luciano De Bonis
2023-01-01

Abstract

Per affrontare il tema dei rischi e delle opportunità derivanti dall’uso turistico dei paesaggi, in particolare dei paesaggi delle transumanza, partirò da una ricerca geografica relativamente recente, condotta presso il Dipartimento di Bioscienze e Territorio dell’Università del Molise (a cui afferisco), nell’ambito degli studi che si vanno lì realizzando, anche a supporto dei corsi di laurea e laurea magistrale (che presiedo) in “Scienze turistiche” e “Management del turismo e dei beni culturali”, nonché del master di II livello in “Progettazione e promozione del paesaggio culturale” (che coordino). L’interesse per me pianificatore territoriale di tale ricerca geografica (Meini et al., 2018) consiste nel suo apporto alla costruzione di uno stato dell’arte delle conoscenze in materia dei paesaggi della transumanza in Molise (e non solo), e soprattutto nel suo intendimento di contribuire alla formazione di un’immagine non stereotipata del geopatrimonio (geoheritage) della transumanza, al fine di: i) promuovere una maggiore consapevolezza della genesi e dell’evoluzione dei paesaggi per i visitatori e le comunità locali, sulla base della convinzione che le sfide future del “geoturismo” riguardino la capacità di ricomporre natura e cultura in un’unità interpretativa, sia dal punto di vista teorico che operativo (ivi: 1); ii) raggiungere un’offerta turistica integrata incentrata sul rapporto tra uomo e ambiente, in particolare organizzando, migliorando e comunicando le vie di transumanza come un paesaggio culturale integrato (ibidem), che può essere apprezzato al meglio tramite ogni forma di slow tourism: walking, hiking, trekking, horse riding, bike riding (ivi: 4). Premesso che per gli autori della citata ricerca il “geoturismo” non va inteso né come una forma di turismo specificamente finalizzata alla scoperta del geopatrimonio di una regione, né come una nuova forma di offerta turistica e/o un segmento di nicchia turistica basato sulle sue caratteristiche geologiche e geomorfologiche, bensì come un tipo di turismo volto alla scoperta integrativa di un territorio, con tutte le sue componenti naturali e umane (ivi: 2), nei paragrafi che seguono riassumerò dapprima uno stato dell’arte delle conoscenze “praticabili” sui “paesaggi della transumanza”, facendo riferimento non esclusivo alla ricerca citata (par. 1); illustrerò poi brevemente l’interessante esperimento, condotto nell’ambito della stessa ricerca, di rigorosa ricostruzione e restituzione dell’“immagine” di un paesaggio della transumanza (par. 2); infine evidenzierò quelli che, dal mio punto di vista disciplinare (ma direi anche transdisciplinare), costituiscono alcuni punti critici riguardanti le ’“immagini” (della transumanza) rivolte a fini anche (geo)turistici (par. 3).
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11695/133369
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