FORME DI AUTOLESIONISMO NEI MINORI ISTITUZIONALIZZATI VITTIME DI ABUSO SESSUALE E MALTRATTAMENTO INTRAFAMILIARE

Intrafamilial sexual abuse and mistreatment: the family can really become the place of paradox. Barrois defines the condition among young victims “psychic trauma” that connotes the internal fracture because of the individual feels completely empty, a thing among things, a dead body that must kill himself as quickly as possible. It is in this context, that must be included the discussionabout self-harm: the body of the young victim is an abused body, a body violated too early. To understand the dynamics of self-harm, we have to start from what the body is and from the substance of the wound: the skin. This, surrounds and encloses the body, it is a screen where are projected our own experiences: it is our personal history. The skin is also a subject of identity and when it is deliberately engraved, it is engraved a part of identity too. It tears the skin to concretize wounds that becomes mode through which mediate the pain and the anguish; it cuts also the skin to punish - plucking - clearing out the bad part of himself in order to detoxify from pain. Thus, punishing the bad self, attacking thoughts, feelings, memories, even unconsciously, it is a way to repeat a history of childhood abuse: to repeat the traumatic experience takes the place of the possibility of remember, performing a function of screen. In the child victims of interfamilial sexual abuse and mistreatment, self-destructive acts are born in the family context usually and they are perpetuated until there are an emotional and a physical dependence with the abusive parent. The most common and most used modes of self-destructive, are the self – injurious behaviour (SIB), that are mild forms of self-harm as to cut, to engrave and to burn the skin with sharp objects. Once the children were removed from the place of domestic violence, and then they received in the educational community protected, the most common forms of self-harm change to become self – harming behaviour that includes indirect forms of damage to the health like don’t eat and to refuse food. To leave the body to the fate, is a sign of expropriation resulting from violence. The reflection on self-harm between abused children, brings us back to the central theme of the skin as a psychic envelope. If the relationship between parents and children is based on painful and violent experiences, the child will fail to understand himself, his identity, his body image if not only in a distorted way, opaque, shameful, horrifying.

Maltrattamento ed abuso sessuale intrafamiliare: ecco che la famiglia può diventare davvero il luogo del paradosso. Barrois definisce la condizione comune alle giovani vittime “trauma psichico” ossia una frattura dell’essere per cui l’individuo si sente completamente reificato, annullato, una cosa tra le cose, un cadavere nella condizione di dover rinunciare a se stesso il più velocemente possibile. Ed è proprio in questo contesto che va inserito il discorso autolesionista del minore abusato e maltrattato in contesto intrafamiliare: il corpo della giovane vittima è un corpo abusato, violato, maltrattato, alla deriva emotiva e fisica. Per capire le dinamiche dell’autolesionismo, si deve partire quindi, da ciò che il corpo rappresenta e dalla sostanza della ferita: la pelle. Questa, avvolge, racchiude il corpo, è schermo sul quale vengono proiettate le esperienze di ciascuno: essa è storia personale e traccia di sé. Ma la pelle è anche materia d’identità e quando viene deliberatamente incisa allora s’incide con essa una parte d’identità propria. Si lacera la propria pelle, da un alto, per concretizzare le ferite le quali diventano tramite oggettivo per commutare il dolore e l’angoscia in uno stato fisico tangibile e più controllabile, dall’altro, per punire – estirpare – purificare la parte cattiva di sé al fine di disintossicarsi. Punire un cattivo Sé, dunque, per attaccare pensieri, sentimenti, ricordi o anche per ripetere inconsciamente una storia di abuso infantile: laddove ripetere l’esperienza traumatica prende il posto della possibilità di ricordare/elaborare, svolgendo una funzione di schermo. Nei minori vittima di abuso sessuale e maltrattamento intrafamiliare, gli atti autolesivi nascono solitamente in contesto familiare e si perpetuano fin quando viene mantenuta una dipendenza fisica ed emotiva con il genitore abusante. Le modalità autolesive più diffuse si riferiscono alla self – injurious behaviour (SIB), ossia a forme lievi di autolesionismo, come il tagliarsi, l’incidere, il bruciarsi la pelle con oggetti acuminati e taglienti. Una volta che i minori sono stati allontanati dal luogo di violenze, e quindi accolti in comunità educativa protetta, le modalità più diffuse mutano, soprattutto nel primo periodo di accoglienza, fino a diventare self – harming behaviour che comprende forme indirette di danno alla propria salute, come per esempio, il non alimentarsi. Lasciare il corpo alla sorte è segno, infatti, dell’espropriazione derivante dalla violenza, per cui esso diventa estraneo, peso morto. La riflessione sull’autolesionismo ci riporta, dunque, al tema iniziale della pelle come involucro psichico, del contenitore che racchiude il benessere dell’accudimento genitoriale. Concludendo, se il rapporto genitori – figli si basa su esperienze dolorose e violente, il bambino non riuscirà a comprendere se stesso, la sua identità, la sua immagine corporea se non in modo distorto, opaco, vergognoso, orripilante, cosa fra le cose.