La tesi si è occupata dell’analisi della sinistra interna al PCI in un decennio, e oltre (1956-1969), fondamentale nella storia del partito comunista e che ha visto al suo interno deflagrare processi tragici, decisivi, dagli effetti dirompenti: la destalinizzazione avviata con il XX congresso del PCUS; i fatti di Budapest; l’VIII Congresso del PCI; per finire alla vicenda di Praga. La ricostruzione generale dalle macerie della seconda Guerra Mondiale ridestavano nuove esigenze e necessità. Nell’Italia attardata in un’antica arretratezza, il «risveglio» si trasformava in un «miracolo economico». Ma i parametri per interpretarlo, le griglie con cui il PCI decrittava, ancora si legavano a schemi antichi, che non riuscivano a cogliere i segni dell’ammodernamento che invece il capitalismo stava realizzando dandosi una nuova veste. Tuttavia qualcuno lo intuiva prima e più degli altri: Ingrao per esempio, che diveniva, via via, il riferimento di quella nuova sinistra interna che guardava alla società reale e nazionale, ai movimenti tutti che la agitavano. Questa sinistra - completamente diversa da quella di origine insurrezionalista, operaista, di marca terzinternazionalista interpretata da Pietro Secchia - nasceva, dunque, dalla presa d’atto del miracolo economico e dell’avvento di una moderna società di massa e dei consumi; e trovava un contraltare nella destra «amendoliana». Lo spirito critico che animava il PCI induceva ad un confronto fra queste due anime del partito sui temi dello sviluppo, degli strumenti riformatori, sulla qualità della borghesia italiana e sui rapporti con il PSI, fino a scontrarsi circa l’atteggiamento da assumere verso il nascente centrosinistra. Amendola e Ingrao sarebbero divenuti dopo la morte di Togliatti i riferimenti dicotomici, le due anime che si giocavano la partita del futuro del partito. La diatriba si risolveva nel corso dell’XI Congresso (1966) con la sconfitta degli ingraiani che venivano decimati politicamente ed emarginati dalla vita del PCI. Il 1968 rimetteva tutto in moto, mostrando un’effervescenza della società che sembrava dare ampiamente ragione alle analisi della sinistra e di Ingrao. In quello stesso anno l’invasione sovietica della Cecoslovacchia avrebbe impresso non solo una svolta nei rapporti con la casa madre sovietica – per il sostegno che il PCI esprimeva al nuovo corso avviato da Dubcek, manifestando dissenso e riprovazione per il successivo intervento militare russo – ma determinava anche uno strappo, un profondo dissenso del gruppo della sinistra ingraiana raccolta intorno alla rivista il «manifesto», che giudicava, invece, insufficiente la risposta del partito, e offriva una sponda sia alla rivoluzione culturale cinese che ai nuovi movimenti giovanili. Comunque fosse, quegli eventi rappresentavano un nuovo spartiacque nella dialettica interna del PCI, rendendo del tutto evidenti i caratteri assolutamente incomparabili tra questa nuova sinistra interna al comunismo italiano e i paradigmi della precedente corrente «secchiana». L’unico elemento davvero omogeneo era la fine traumatica: il dimissionamento per alcuni, la radiazione per altri.

La sinistra nel Partito comunista italiano. Da Budapest a Praga (1956-1968)

Paolino, Antonietta Gilda
2011-02-03

Abstract

La tesi si è occupata dell’analisi della sinistra interna al PCI in un decennio, e oltre (1956-1969), fondamentale nella storia del partito comunista e che ha visto al suo interno deflagrare processi tragici, decisivi, dagli effetti dirompenti: la destalinizzazione avviata con il XX congresso del PCUS; i fatti di Budapest; l’VIII Congresso del PCI; per finire alla vicenda di Praga. La ricostruzione generale dalle macerie della seconda Guerra Mondiale ridestavano nuove esigenze e necessità. Nell’Italia attardata in un’antica arretratezza, il «risveglio» si trasformava in un «miracolo economico». Ma i parametri per interpretarlo, le griglie con cui il PCI decrittava, ancora si legavano a schemi antichi, che non riuscivano a cogliere i segni dell’ammodernamento che invece il capitalismo stava realizzando dandosi una nuova veste. Tuttavia qualcuno lo intuiva prima e più degli altri: Ingrao per esempio, che diveniva, via via, il riferimento di quella nuova sinistra interna che guardava alla società reale e nazionale, ai movimenti tutti che la agitavano. Questa sinistra - completamente diversa da quella di origine insurrezionalista, operaista, di marca terzinternazionalista interpretata da Pietro Secchia - nasceva, dunque, dalla presa d’atto del miracolo economico e dell’avvento di una moderna società di massa e dei consumi; e trovava un contraltare nella destra «amendoliana». Lo spirito critico che animava il PCI induceva ad un confronto fra queste due anime del partito sui temi dello sviluppo, degli strumenti riformatori, sulla qualità della borghesia italiana e sui rapporti con il PSI, fino a scontrarsi circa l’atteggiamento da assumere verso il nascente centrosinistra. Amendola e Ingrao sarebbero divenuti dopo la morte di Togliatti i riferimenti dicotomici, le due anime che si giocavano la partita del futuro del partito. La diatriba si risolveva nel corso dell’XI Congresso (1966) con la sconfitta degli ingraiani che venivano decimati politicamente ed emarginati dalla vita del PCI. Il 1968 rimetteva tutto in moto, mostrando un’effervescenza della società che sembrava dare ampiamente ragione alle analisi della sinistra e di Ingrao. In quello stesso anno l’invasione sovietica della Cecoslovacchia avrebbe impresso non solo una svolta nei rapporti con la casa madre sovietica – per il sostegno che il PCI esprimeva al nuovo corso avviato da Dubcek, manifestando dissenso e riprovazione per il successivo intervento militare russo – ma determinava anche uno strappo, un profondo dissenso del gruppo della sinistra ingraiana raccolta intorno alla rivista il «manifesto», che giudicava, invece, insufficiente la risposta del partito, e offriva una sponda sia alla rivoluzione culturale cinese che ai nuovi movimenti giovanili. Comunque fosse, quegli eventi rappresentavano un nuovo spartiacque nella dialettica interna del PCI, rendendo del tutto evidenti i caratteri assolutamente incomparabili tra questa nuova sinistra interna al comunismo italiano e i paradigmi della precedente corrente «secchiana». L’unico elemento davvero omogeneo era la fine traumatica: il dimissionamento per alcuni, la radiazione per altri.
The left in Italian communist party. From Budapest to Prague (1956-1968)
3-feb-2011
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