L’interesse per la tematica della tortura, appartenente alla tradizione settecentesca del garantismo penale, è stato sollecitato dai tragici eventi dell’11 settembre 2001 e dalla crescente attenzione che ne è seguita per la salvaguardia degli ordinamenti democratici occidentali, messi fortemente in pericolo dal terrorismo di matrice internazionale. A partire da quella data, sembra essere stato istituito una sorta di stato di eccezione globale, in nome del quale si è ripensato ad un rinnovato rapporto tra i diritti personali e ragioni di sicurezza collettiva. La prima parte del lavoro è dedicata all’esegesi storica della tortura, che si è espressa come strumento inquisitorio, come mezzo di ricerca della prova, ovvero come sanzione penale, che la battaglia abolizionistica vittoriosamente condotta dai riformatori dell’età dei lumi ha delegittimato, favorendone l’abolizione. Nonostante ciò la tortura ha continuato ad essere praticata. Eppure la tortura è vietata da numerosi accordi internazionali, molti dei quali ratificati dall’Italia, e va considerata a tutti gli effetti un crimine internazionale. Pertanto il prosieguo della ricerca si è articolato lungo un percorso teso ad evidenziare le prospettive internazionali ed ultrastatuali del divieto di tortura, dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 – di cui il nostro Paese è parte – ed il relativo Protocollo, alle fonti pattizie sui Tribunali penali internazionali ad hoc, per giungere allo International Criminal Court Statute, tappa fondamentale per l’internazionalizzazione della giustizia penale. Quanto invece alla posizione dell’Europa in merito all’ICC Statute e, più in generale, alla tutela dei diritti umani, essa si è fermamente impegnata a promuovere l’entrata in vigore dello Statuto di Roma ed il buon funzionamento della Corte penale internazionale; d’altro canto, nell’ambito del Consiglio europeo, nato nel 1949 all’esterno della struttura istituzionale comunitaria a presidio dei valori delle democrazie occidentali, è stata approvata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Quest’ultima, all’art. 3 stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura, a pene e a trattamenti inumani o degradanti”. Tale proibizione ha portata assoluta, dal momento che non consente né limitazioni, né eccezioni ai diritti garantiti. Un ulteriore strumento normativo - pure approfondito- è la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, firmata a Strasburgo nel 1987 ed entrata in vigore dal febbraio 2009. Lo studio delle tematiche sin qui sintetizzate ha radicato ancor più l’dea che non solo la prospettiva umanitaria della imprescindibile tutela dei diritti inviolabili della persona imporrebbe al legislatore italiano di stigmatizzare con la sanzione criminale atti di tortura. Nel nostro Paese, a differenza di altri paesi europei e nonostante numerosi progetti di legge pur approdati in Senato nelle passate legislature, non esiste una norma che punisca la tortura, cui si applicano, pertanto, fattispecie talvolta assai meno gravi. Ma è chiaro che rimettersi ad una rilevanza episodica e frammentaria di atti così gravi non consente di cogliere il precipuo disvalore che la tortura, in quanto tale, assume a prescindere dalle specifiche modalità con cui si realizza. Nelle “convulsioni del dolore” intenzionalmente procurate dalla stessa autorità alla quale ha consegnato una porzione della propria libertà, l’individuo cessa di essere persona, e diviene risorsa utilizzata dal potere statuale. Se così inquadrata nel novero dei rapporti dell’individuo con i poteri autoritativi dello Stato, si comprende come l’incriminazione di atti di tortura da parte del legislatore italiano (peraltro sempre prodigo di risposte penali), graviti intorno alla tematica della tutela della persona, nel riconoscimento della propria inviolabile dignità, cui la nostra Carta fondamentale assegna un innegabile primato.

La tortura. Percorsi di incriminazione

FENDERICO, ALESSANDRA
2010-02-11

Abstract

L’interesse per la tematica della tortura, appartenente alla tradizione settecentesca del garantismo penale, è stato sollecitato dai tragici eventi dell’11 settembre 2001 e dalla crescente attenzione che ne è seguita per la salvaguardia degli ordinamenti democratici occidentali, messi fortemente in pericolo dal terrorismo di matrice internazionale. A partire da quella data, sembra essere stato istituito una sorta di stato di eccezione globale, in nome del quale si è ripensato ad un rinnovato rapporto tra i diritti personali e ragioni di sicurezza collettiva. La prima parte del lavoro è dedicata all’esegesi storica della tortura, che si è espressa come strumento inquisitorio, come mezzo di ricerca della prova, ovvero come sanzione penale, che la battaglia abolizionistica vittoriosamente condotta dai riformatori dell’età dei lumi ha delegittimato, favorendone l’abolizione. Nonostante ciò la tortura ha continuato ad essere praticata. Eppure la tortura è vietata da numerosi accordi internazionali, molti dei quali ratificati dall’Italia, e va considerata a tutti gli effetti un crimine internazionale. Pertanto il prosieguo della ricerca si è articolato lungo un percorso teso ad evidenziare le prospettive internazionali ed ultrastatuali del divieto di tortura, dalla Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura del 1984 – di cui il nostro Paese è parte – ed il relativo Protocollo, alle fonti pattizie sui Tribunali penali internazionali ad hoc, per giungere allo International Criminal Court Statute, tappa fondamentale per l’internazionalizzazione della giustizia penale. Quanto invece alla posizione dell’Europa in merito all’ICC Statute e, più in generale, alla tutela dei diritti umani, essa si è fermamente impegnata a promuovere l’entrata in vigore dello Statuto di Roma ed il buon funzionamento della Corte penale internazionale; d’altro canto, nell’ambito del Consiglio europeo, nato nel 1949 all’esterno della struttura istituzionale comunitaria a presidio dei valori delle democrazie occidentali, è stata approvata la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Quest’ultima, all’art. 3 stabilisce che “nessuno può essere sottoposto a tortura, a pene e a trattamenti inumani o degradanti”. Tale proibizione ha portata assoluta, dal momento che non consente né limitazioni, né eccezioni ai diritti garantiti. Un ulteriore strumento normativo - pure approfondito- è la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, firmata a Strasburgo nel 1987 ed entrata in vigore dal febbraio 2009. Lo studio delle tematiche sin qui sintetizzate ha radicato ancor più l’dea che non solo la prospettiva umanitaria della imprescindibile tutela dei diritti inviolabili della persona imporrebbe al legislatore italiano di stigmatizzare con la sanzione criminale atti di tortura. Nel nostro Paese, a differenza di altri paesi europei e nonostante numerosi progetti di legge pur approdati in Senato nelle passate legislature, non esiste una norma che punisca la tortura, cui si applicano, pertanto, fattispecie talvolta assai meno gravi. Ma è chiaro che rimettersi ad una rilevanza episodica e frammentaria di atti così gravi non consente di cogliere il precipuo disvalore che la tortura, in quanto tale, assume a prescindere dalle specifiche modalità con cui si realizza. Nelle “convulsioni del dolore” intenzionalmente procurate dalla stessa autorità alla quale ha consegnato una porzione della propria libertà, l’individuo cessa di essere persona, e diviene risorsa utilizzata dal potere statuale. Se così inquadrata nel novero dei rapporti dell’individuo con i poteri autoritativi dello Stato, si comprende come l’incriminazione di atti di tortura da parte del legislatore italiano (peraltro sempre prodigo di risposte penali), graviti intorno alla tematica della tutela della persona, nel riconoscimento della propria inviolabile dignità, cui la nostra Carta fondamentale assegna un innegabile primato.
Torture. Indictment pathways
11-feb-2010
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11695/66372
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