La posizione del concepito nell’ordinamento moderno italiano si caratterizza per un’evidente ‘discrepanza’ esistente tra l’aspetto patrimoniale (previsto nel codice civile), rispetto a quello personale del concepito (in particolare sotto l’aspetto della tutela della vita prenatale). La dottrina italiana ha assunto posizioni diverse sul punto: per alcuni, il concepito acquisirebbe, in base alla capacità giuridica anticipata, fin dall’inizio, i diritti attribuitigli ex lege, sottoposti pertanto a condizione risolutiva. Invece, per altri, sarebbe preferibile parlare di aspettativa di diritto. Infine, alcuni autori propendono per la mera fattispecie a formazione progressiva, di cui la nascita costituirebbe un coelemento di efficacia. La giurisprudenza italiana, invece, ha sempre negato il riconoscimento di qualsiasi capacità giuridica al nascituro, concepito o meno, facendo leva sull’esegesi dell’art. 1, comma 2o del codice civile (per cui la capacità giuridica del concepito sarebbe a lui attribuibile, solo al verificarsi dell’evento della sua nascita). Attraverso un’accurata analisi comparativa della normativa di alcuni paesi UE (Francia, Germania, Gran Bretagna), degli Stati Uniti e dell’ordinamento islamico, si è potuto evidenziare che i diversi ordinamenti siano concordi sul fatto che la capacità giuridica si acquisisca al momento della nascita, per quel che concerne le situazioni soggettive di natura patrimoniale. Attualmente l’ordinamento positivo tutela il concepito esclusivamente verso la nascita, dato che non risulta configurabile un “diritto a nascere” e a “nascere se non sano”, in quanto ci si troverebbe di fronte a un diritto adespota. Non solo, in base al combinato disposto di cui agli artt. 4 e 6 della Legge n. 194/1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza, pur essendo la vita del nascituro il bene giuridico tutelato dalla legge (art.1), esso si scontra con il diritto all’autodeterminazione della madre. Comunque, dalla comparazione tra gli ordinamenti giuridici stranieri e la normativa italiana,con riferimento alla tutela risarcitoria per le lesioni subite dal nascituro nel caso di illeciti ex contractu o ex delicto, avvenuti nel periodo prenatale, si nota un’evoluzione giurisprudenziale che riconosce a favore dello stesso delle aspettative che, con la nascita, si attuerebbero in diritti (c.d. danno da nascita indesiderata). Passando all’esame degli strumenti internazionali di tutela del nascituro, bisogna rilevare che essi, pur contendo nelle loro proclamazioni il diritto alla vita, tuttavia non contengano alcun riferimento alla vita del concepito, fatta eccezione per l’art. 4 della Convenzione interamericana sui diritti umani che lo riconosce esplicitamente. In generale, si può affermare che gli atti internazionali a tutela dei diritti dell’uomo riconoscano il diritto alla vita venga come diritto umano essenziale, ma la sua attuazione pratica evidenzi i problemi sussistenti in tale materia. Concludendo, per ciò che concerne l’esame dei leading cases di cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo si è occupata con riferimento al diritto alla vita del concepito, ex art. 2 della CEDU, essa ha dimostrato di voler eludere lo spinoso problema riguardante la determinazione dell’inizio della vita umana, lasciando ancora aperti numerosi interrogativi e ponendosi nei confronti della comunità internazionale, con un atteggiamento anacronistico, non rispettoso del continuo progresso della ricerca biotecnologica.

I diritti del nascituro nell'ordinamento giuridico italiano, nelle esperienze straniere e normativa sovranazionale

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2010-02-10

Abstract

La posizione del concepito nell’ordinamento moderno italiano si caratterizza per un’evidente ‘discrepanza’ esistente tra l’aspetto patrimoniale (previsto nel codice civile), rispetto a quello personale del concepito (in particolare sotto l’aspetto della tutela della vita prenatale). La dottrina italiana ha assunto posizioni diverse sul punto: per alcuni, il concepito acquisirebbe, in base alla capacità giuridica anticipata, fin dall’inizio, i diritti attribuitigli ex lege, sottoposti pertanto a condizione risolutiva. Invece, per altri, sarebbe preferibile parlare di aspettativa di diritto. Infine, alcuni autori propendono per la mera fattispecie a formazione progressiva, di cui la nascita costituirebbe un coelemento di efficacia. La giurisprudenza italiana, invece, ha sempre negato il riconoscimento di qualsiasi capacità giuridica al nascituro, concepito o meno, facendo leva sull’esegesi dell’art. 1, comma 2o del codice civile (per cui la capacità giuridica del concepito sarebbe a lui attribuibile, solo al verificarsi dell’evento della sua nascita). Attraverso un’accurata analisi comparativa della normativa di alcuni paesi UE (Francia, Germania, Gran Bretagna), degli Stati Uniti e dell’ordinamento islamico, si è potuto evidenziare che i diversi ordinamenti siano concordi sul fatto che la capacità giuridica si acquisisca al momento della nascita, per quel che concerne le situazioni soggettive di natura patrimoniale. Attualmente l’ordinamento positivo tutela il concepito esclusivamente verso la nascita, dato che non risulta configurabile un “diritto a nascere” e a “nascere se non sano”, in quanto ci si troverebbe di fronte a un diritto adespota. Non solo, in base al combinato disposto di cui agli artt. 4 e 6 della Legge n. 194/1978 sull’interruzione volontaria della gravidanza, pur essendo la vita del nascituro il bene giuridico tutelato dalla legge (art.1), esso si scontra con il diritto all’autodeterminazione della madre. Comunque, dalla comparazione tra gli ordinamenti giuridici stranieri e la normativa italiana,con riferimento alla tutela risarcitoria per le lesioni subite dal nascituro nel caso di illeciti ex contractu o ex delicto, avvenuti nel periodo prenatale, si nota un’evoluzione giurisprudenziale che riconosce a favore dello stesso delle aspettative che, con la nascita, si attuerebbero in diritti (c.d. danno da nascita indesiderata). Passando all’esame degli strumenti internazionali di tutela del nascituro, bisogna rilevare che essi, pur contendo nelle loro proclamazioni il diritto alla vita, tuttavia non contengano alcun riferimento alla vita del concepito, fatta eccezione per l’art. 4 della Convenzione interamericana sui diritti umani che lo riconosce esplicitamente. In generale, si può affermare che gli atti internazionali a tutela dei diritti dell’uomo riconoscano il diritto alla vita venga come diritto umano essenziale, ma la sua attuazione pratica evidenzi i problemi sussistenti in tale materia. Concludendo, per ciò che concerne l’esame dei leading cases di cui la Corte Europea dei diritti dell’uomo si è occupata con riferimento al diritto alla vita del concepito, ex art. 2 della CEDU, essa ha dimostrato di voler eludere lo spinoso problema riguardante la determinazione dell’inizio della vita umana, lasciando ancora aperti numerosi interrogativi e ponendosi nei confronti della comunità internazionale, con un atteggiamento anacronistico, non rispettoso del continuo progresso della ricerca biotecnologica.
Unborn child's rights into Italian legal system, foreign experiences and supranational rules
10-feb-2010
Mori, Tiziana
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Tipologia: Tesi di dottorato
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11695/66349
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