La presente ricerca si è proposta di evidenziare le strategie di integrazione ovvero le pratiche di cittadinanza adottate in favore di un particolare segmento dei fenomeni migratori internazionali attuali: quello dei minori stranieri che soli varcano le frontiere del nostro paese alla ricerca di generiche migliori condizioni di vita. La conoscenza del loro patrimonio culturale e l’analisi delle procedure di accoglienza e di integrazione adottate nelle società di accoglienza, rappresentano una sfida stimolante nella prospettiva della disciplina antropologica, da sempre considerata la scienza ‘dell’altro’ e della ‘differenza culturale’ (Callari Galli, 2005). In generale, l’importanza di tale studio è resa evidente certamente dai numeri sempre più consistenti di minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro paese, ma ancor più dalla necessità di ridefinire le strategie dell’integrazione sociale complessive se non si vuole alimentare quella che già dagli anni 70 è stata definita da alcuni criminologi come una “una bomba sociale a scoppio ritardato” (Bovenkerk 1973, cit. in Barbagli 2002, p. 31); tanto è la posta in gioco. Sebbene la letteratura sulle seconde generazioni e in particolare quella sui minori stranieri non accompagnati sia ormai cospicua tanto in Italia quanto a livello internazionale, mancano ancora monografie antropologiche su singole nazionalità immigrate soprattutto che siano capaci di accedere, investigare ed indagare il controverso universo emozionale dei minori. La presente ricerca nasce dall’esigenza di colmare questo gap esperienziale assumendo come protagonisti una frangia specifica della categoria minorile: i giovani di origine marocchina che si innescano su uno specifico segmento delle attuali tratte migratorie transnazionali, l’asse Khourigba – Roma. In accordo con le recenti acquisizioni degli studi antropologici (Persichetti, 2003; Riccio; 2007; Capello, 2008) si è ritenuto inoltre opportuno procedere con uno studio multisituato capace di ricomprendere al suo interno i due aspetti del binomio migratorio: il contesto di partenza e quello di arrivo dei giovani migranti. “Prima di diventare un immigrato, il migrante è sempre innanzitutto un emigrato” scrive il sociologo algerino Abdelmalek Sayad (2002) intendendo con tale affermazione che emigrazione ed immigrazione sono due facce della stessa realtà. Uno studio dei fenomeni migratori cioè dimentico delle condizioni di origine si condanna ad offrire degli stessi solo una versione parziale e connotata etnocentricamente. L’etnografia, iniziata nel 2006 e terminata nel 2008, è stata quindi integrata da due viaggi in Marocco con l’intenzione appunto di cogliere quella parte di vissuto fatto anche di suoni, colori, immagini altrimenti non “accessibile” e non “trasmissibile” nel solo contesto di accoglienza. Chiaramente si è fatto largo uso di metodologie qualitative (osservazione partecipante, focus group, interviste in profondità) in quanto maggiormente adatte ad indagare in profondità le complesse dinamiche caratterizzanti i vissuti esperienziali; a cogliere le sfumature di contesto e di restituire per queste stesse ragioni un quadro vivo e frastagliato fuori da logiche pre- costituite. La restituzione delle testimonianze raccolte - grazie a un capillare lavoro di conoscenza della realtà romana dell’immigrazione e a un ‘patto’ etnografico molto forte intrattenuto con i giovani testimoni nonché con gli operatori che in molte occasioni se ne fanno carico - fa risaltare gli aspetti non solo politico-culturali della questione, ma anche l’intreccio di emotività e fragilità che si cela al centro della loro condizione di minori non accompagnati. La particolare condizione di vulnerabilità di cui sono vittima deriva certamente da una condizione giuridica fortemente “incerta”, ma anche dal doppio ruolo sociale che il minore straniero non accompagnato assume su di sé: come “minore” è soggetto di un tradizionale percorso pedagogico, come “straniero” è un pericolo per l’ordine pubblico. La tutela “naturale” viene in questo modo costantemente infranta o finisce per dissolversi in uno spazio che non può essere indirizzato o controllato su logiche o prassi proprie dell’ordine nazionale. Soggetto “anomalo” e “sovversivo”quindi, il minore straniero non accompagnato, spesso relegato negli ambiti bui e marginali delle metropoli odierne, con la sua stessa presenza pone seri interrogativi rispetto alla capacità della nostre società di accoglienza di produrre coesione sociale e di riformulare le regole del gioco di un sistema che sia realmente inclusivo delle parti. Adolescenti (e) immigrati la cui vita si svolge su rotte transnazionali. Il loro percorso è intessuto di piccole casualità - incontri, parole, piccoli gesti - che ne determinano l’intrigo. Sono storie fatte di alternanza di successi e sbandamenti, integrazione e devianza, intreccio di trame che si snodano sul confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Minori al “bivio”, dunque, qualcuno dice, “tra integrazione e rimpatrio”. Questi giovani, figli di una diaspora migratoria che ha tessuto legami sociali internazionali in vari continenti, tendono a pensarsi come cittadini del mondo e possono immaginare il loro futuro in Italia, nel paese d’origine, così come in un altro luogo, conoscono la fatica dell’adattamento, e stanno imparando a gestirlo; sanno che la loro “differenza”, le loro conoscenze di un’altra lingua, cultura e religione, il loro aspetto, le loro esperienze non sempre facili di socializzazione, potranno rivelarsi un limite o una risorsa. E’ questa nuova consapevolezza che si sta faticosamente facendo strada oggi tra le coscienze a far sperare oggi in un destino per loro diverso da quello vissuto dai loro coetanei delle banlieues francesi o delle inner cities britanniche, dove l’essere cresciuti in quartieri in cui problemi sociali e esistenziali simili tendono a sovrapporsi, ha portato molti giovani a sentirsi collettivamente parte di una generazione tradita e sacrificata, maturando così rancore sociale e desiderio di imporsi, attraverso un’identità fiera o desiderosa di ricreare una sua purezza. La scommessa di una integrazione sociale riuscita per i giovani stranieri cresciuti nel nostro paese, ma ancora più per i minori stranieri non accompagnati, si gioca essenzialmente quindi nelle reti dell’assistenza sociale e quindi nella scuola. Tale scelta pur essendo molto lontana dal conseguimento degli obiettivi economici, e quindi dall’ottemperamento del mandato migratorio, consente di rivendicare principi e ragioni di “somiglianza – uguaglianza” con i compagni di scuola autoctoni; confronto prima pressoché impossibile data la clandestinità cui sono di sovente costretti i minori stranieri non accompagnati e la peculiarità del tipo di lavoro svolto dai marocchini, quello ambulante, per sua natura itinerante e fortemente stigmatizzato dall’opinione comune. Nonostante le evidenti lacerazioni che questa scelta comporta in termini di: rottura con vecchi schemi di comportamento; ridefinizione dei ruoli all’interno della famiglia, nell’ambito societario di arrivo, così come in quello di appartenenza; riapporpiazione della propria identità, questa strada sembra a tutt’oggi l’unica in grado di preservare questi giovani migranti o di stornarli dal destino di devianza e marginalità che spesso si apre loro come scelta obbligata. La ricerca consta di due parti: la prima rende conto della letteratura in materia di seconde generazioni e la seconda restituisce i risultati dell’etnografia. In particolare il primo capitolo affronta i termini generali della questione con l’intenzione di chiarire i diversi misunderstanding che costellano il dibattito in materia di immigrazione attraverso una lettura critica della letteratura nazionale e internazionale. Il secondo e il terzo capitolo si occupano rispettivamente della normativa europea e italiana. Quanto al primo contesto sono evidenziate le diverse pratiche adottate in materia di ingresso dei minori stranieri non accompagnati all’interno dei confini di alcuni Paesi membri di vecchia e nuova immigrazione (Francia, Inghilterra, Germania, Belgio e Spagna) e posti in luce i gaps presenti così come le falle del sistema; quanto al contesto italiano, si mettono in rilievo le criticità che gli apparati giuridici presentano rispetto a una realtà concreta del fenomeno caratterizzata, come è ovvio, da straordinaria fluttuanza e informalità. Il quarto capitolo è stato dedicato alla scuola in quanto considerata la vera fucina del cambiamento sociale per la sua capacità di rappresentare l’occasione primaria di formazione linguistica, di costruzione di reti interne al Paese di accoglienza, di apprendimento di concetti e modalità didattiche ad esso omogenee; un paragrafo a parte è stato riservato all’inserimento lavorativo essendo questo il principale movente della migrazione di questi giovani. Infine il quinto capitolo si è prefisso di indagare il contesto di provenienza dei minori intervistati, il Marocco, ricostruendo l’eredità del passato coloniale, le scelte economiche del Marocco Indipendente, i fattori di push and pull dietro i flussi migratori di ieri e di oggi. Il quadro finale ha permesso di sondare la salute del sistema. Riconoscere diritto di parola e di ascolto dell’infanzia e dell’adolescenza ha significato fare un passo importante in avanti nella comprensione della loro soggettività, consentendo di fare emergere tutti quegli aspetti di conformità, progressivo adattamento ovvero di riottosità rispetto tanto alla propria comunità di appartenenza quanto alla società di arrivo. Considerare i minori come “soggetti di diritto” ha significato in altre parole ripensare sotto un altro punto di vista l’organizzazione e le strutture profonde che quella società regolano con il merito di porre in luce aspetti e problemi inediti, frizioni interne al gruppo normalmente sfuggevoli e molto riposte ed elementi di scarto rispetto a un modello omogeneo e granitico di una data cultura. Occorre sobriamente riconoscere che non si danno più né immigrati né emigrati, ma “pari” cittadini (o spiranti tali) che tessono relazioni effettivamente ed affettivamente collegate in un unico destino interdipendente. La consapevolezza di questo richiede competenza, intelligenza, impegno e determinazione nelle scelte operative da intraprendere; l’altra faccia della medaglia è solo devianza ed emarginazione.

L'integrazione dei minori stranieri non accompagnati. Lo studio di un caso: i minori marocchini tra Khourigba e Roma

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2010-02-10

Abstract

La presente ricerca si è proposta di evidenziare le strategie di integrazione ovvero le pratiche di cittadinanza adottate in favore di un particolare segmento dei fenomeni migratori internazionali attuali: quello dei minori stranieri che soli varcano le frontiere del nostro paese alla ricerca di generiche migliori condizioni di vita. La conoscenza del loro patrimonio culturale e l’analisi delle procedure di accoglienza e di integrazione adottate nelle società di accoglienza, rappresentano una sfida stimolante nella prospettiva della disciplina antropologica, da sempre considerata la scienza ‘dell’altro’ e della ‘differenza culturale’ (Callari Galli, 2005). In generale, l’importanza di tale studio è resa evidente certamente dai numeri sempre più consistenti di minori stranieri non accompagnati presenti nel nostro paese, ma ancor più dalla necessità di ridefinire le strategie dell’integrazione sociale complessive se non si vuole alimentare quella che già dagli anni 70 è stata definita da alcuni criminologi come una “una bomba sociale a scoppio ritardato” (Bovenkerk 1973, cit. in Barbagli 2002, p. 31); tanto è la posta in gioco. Sebbene la letteratura sulle seconde generazioni e in particolare quella sui minori stranieri non accompagnati sia ormai cospicua tanto in Italia quanto a livello internazionale, mancano ancora monografie antropologiche su singole nazionalità immigrate soprattutto che siano capaci di accedere, investigare ed indagare il controverso universo emozionale dei minori. La presente ricerca nasce dall’esigenza di colmare questo gap esperienziale assumendo come protagonisti una frangia specifica della categoria minorile: i giovani di origine marocchina che si innescano su uno specifico segmento delle attuali tratte migratorie transnazionali, l’asse Khourigba – Roma. In accordo con le recenti acquisizioni degli studi antropologici (Persichetti, 2003; Riccio; 2007; Capello, 2008) si è ritenuto inoltre opportuno procedere con uno studio multisituato capace di ricomprendere al suo interno i due aspetti del binomio migratorio: il contesto di partenza e quello di arrivo dei giovani migranti. “Prima di diventare un immigrato, il migrante è sempre innanzitutto un emigrato” scrive il sociologo algerino Abdelmalek Sayad (2002) intendendo con tale affermazione che emigrazione ed immigrazione sono due facce della stessa realtà. Uno studio dei fenomeni migratori cioè dimentico delle condizioni di origine si condanna ad offrire degli stessi solo una versione parziale e connotata etnocentricamente. L’etnografia, iniziata nel 2006 e terminata nel 2008, è stata quindi integrata da due viaggi in Marocco con l’intenzione appunto di cogliere quella parte di vissuto fatto anche di suoni, colori, immagini altrimenti non “accessibile” e non “trasmissibile” nel solo contesto di accoglienza. Chiaramente si è fatto largo uso di metodologie qualitative (osservazione partecipante, focus group, interviste in profondità) in quanto maggiormente adatte ad indagare in profondità le complesse dinamiche caratterizzanti i vissuti esperienziali; a cogliere le sfumature di contesto e di restituire per queste stesse ragioni un quadro vivo e frastagliato fuori da logiche pre- costituite. La restituzione delle testimonianze raccolte - grazie a un capillare lavoro di conoscenza della realtà romana dell’immigrazione e a un ‘patto’ etnografico molto forte intrattenuto con i giovani testimoni nonché con gli operatori che in molte occasioni se ne fanno carico - fa risaltare gli aspetti non solo politico-culturali della questione, ma anche l’intreccio di emotività e fragilità che si cela al centro della loro condizione di minori non accompagnati. La particolare condizione di vulnerabilità di cui sono vittima deriva certamente da una condizione giuridica fortemente “incerta”, ma anche dal doppio ruolo sociale che il minore straniero non accompagnato assume su di sé: come “minore” è soggetto di un tradizionale percorso pedagogico, come “straniero” è un pericolo per l’ordine pubblico. La tutela “naturale” viene in questo modo costantemente infranta o finisce per dissolversi in uno spazio che non può essere indirizzato o controllato su logiche o prassi proprie dell’ordine nazionale. Soggetto “anomalo” e “sovversivo”quindi, il minore straniero non accompagnato, spesso relegato negli ambiti bui e marginali delle metropoli odierne, con la sua stessa presenza pone seri interrogativi rispetto alla capacità della nostre società di accoglienza di produrre coesione sociale e di riformulare le regole del gioco di un sistema che sia realmente inclusivo delle parti. Adolescenti (e) immigrati la cui vita si svolge su rotte transnazionali. Il loro percorso è intessuto di piccole casualità - incontri, parole, piccoli gesti - che ne determinano l’intrigo. Sono storie fatte di alternanza di successi e sbandamenti, integrazione e devianza, intreccio di trame che si snodano sul confine tra ciò che è lecito e ciò che non lo è. Minori al “bivio”, dunque, qualcuno dice, “tra integrazione e rimpatrio”. Questi giovani, figli di una diaspora migratoria che ha tessuto legami sociali internazionali in vari continenti, tendono a pensarsi come cittadini del mondo e possono immaginare il loro futuro in Italia, nel paese d’origine, così come in un altro luogo, conoscono la fatica dell’adattamento, e stanno imparando a gestirlo; sanno che la loro “differenza”, le loro conoscenze di un’altra lingua, cultura e religione, il loro aspetto, le loro esperienze non sempre facili di socializzazione, potranno rivelarsi un limite o una risorsa. E’ questa nuova consapevolezza che si sta faticosamente facendo strada oggi tra le coscienze a far sperare oggi in un destino per loro diverso da quello vissuto dai loro coetanei delle banlieues francesi o delle inner cities britanniche, dove l’essere cresciuti in quartieri in cui problemi sociali e esistenziali simili tendono a sovrapporsi, ha portato molti giovani a sentirsi collettivamente parte di una generazione tradita e sacrificata, maturando così rancore sociale e desiderio di imporsi, attraverso un’identità fiera o desiderosa di ricreare una sua purezza. La scommessa di una integrazione sociale riuscita per i giovani stranieri cresciuti nel nostro paese, ma ancora più per i minori stranieri non accompagnati, si gioca essenzialmente quindi nelle reti dell’assistenza sociale e quindi nella scuola. Tale scelta pur essendo molto lontana dal conseguimento degli obiettivi economici, e quindi dall’ottemperamento del mandato migratorio, consente di rivendicare principi e ragioni di “somiglianza – uguaglianza” con i compagni di scuola autoctoni; confronto prima pressoché impossibile data la clandestinità cui sono di sovente costretti i minori stranieri non accompagnati e la peculiarità del tipo di lavoro svolto dai marocchini, quello ambulante, per sua natura itinerante e fortemente stigmatizzato dall’opinione comune. Nonostante le evidenti lacerazioni che questa scelta comporta in termini di: rottura con vecchi schemi di comportamento; ridefinizione dei ruoli all’interno della famiglia, nell’ambito societario di arrivo, così come in quello di appartenenza; riapporpiazione della propria identità, questa strada sembra a tutt’oggi l’unica in grado di preservare questi giovani migranti o di stornarli dal destino di devianza e marginalità che spesso si apre loro come scelta obbligata. La ricerca consta di due parti: la prima rende conto della letteratura in materia di seconde generazioni e la seconda restituisce i risultati dell’etnografia. In particolare il primo capitolo affronta i termini generali della questione con l’intenzione di chiarire i diversi misunderstanding che costellano il dibattito in materia di immigrazione attraverso una lettura critica della letteratura nazionale e internazionale. Il secondo e il terzo capitolo si occupano rispettivamente della normativa europea e italiana. Quanto al primo contesto sono evidenziate le diverse pratiche adottate in materia di ingresso dei minori stranieri non accompagnati all’interno dei confini di alcuni Paesi membri di vecchia e nuova immigrazione (Francia, Inghilterra, Germania, Belgio e Spagna) e posti in luce i gaps presenti così come le falle del sistema; quanto al contesto italiano, si mettono in rilievo le criticità che gli apparati giuridici presentano rispetto a una realtà concreta del fenomeno caratterizzata, come è ovvio, da straordinaria fluttuanza e informalità. Il quarto capitolo è stato dedicato alla scuola in quanto considerata la vera fucina del cambiamento sociale per la sua capacità di rappresentare l’occasione primaria di formazione linguistica, di costruzione di reti interne al Paese di accoglienza, di apprendimento di concetti e modalità didattiche ad esso omogenee; un paragrafo a parte è stato riservato all’inserimento lavorativo essendo questo il principale movente della migrazione di questi giovani. Infine il quinto capitolo si è prefisso di indagare il contesto di provenienza dei minori intervistati, il Marocco, ricostruendo l’eredità del passato coloniale, le scelte economiche del Marocco Indipendente, i fattori di push and pull dietro i flussi migratori di ieri e di oggi. Il quadro finale ha permesso di sondare la salute del sistema. Riconoscere diritto di parola e di ascolto dell’infanzia e dell’adolescenza ha significato fare un passo importante in avanti nella comprensione della loro soggettività, consentendo di fare emergere tutti quegli aspetti di conformità, progressivo adattamento ovvero di riottosità rispetto tanto alla propria comunità di appartenenza quanto alla società di arrivo. Considerare i minori come “soggetti di diritto” ha significato in altre parole ripensare sotto un altro punto di vista l’organizzazione e le strutture profonde che quella società regolano con il merito di porre in luce aspetti e problemi inediti, frizioni interne al gruppo normalmente sfuggevoli e molto riposte ed elementi di scarto rispetto a un modello omogeneo e granitico di una data cultura. Occorre sobriamente riconoscere che non si danno più né immigrati né emigrati, ma “pari” cittadini (o spiranti tali) che tessono relazioni effettivamente ed affettivamente collegate in un unico destino interdipendente. La consapevolezza di questo richiede competenza, intelligenza, impegno e determinazione nelle scelte operative da intraprendere; l’altra faccia della medaglia è solo devianza ed emarginazione.
The integration of separated minors. A case study: Moroccan minors between Khourigba and Rome
10-feb-2010
Di Nepi, Edith
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Tipologia: Tesi di dottorato
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