Sebbene la ratio dell’istituto disciplinato dall’art. 587 c.p.p., sia prevenire il conflitto tra decisioni irrevocabili, assicurando la par condicio tra gli imputati che si trovino in situazioni identiche, in più occasioni la Corte di legittimità ha evidenziato come lo stesso non comporti una riammissione nei termini prescritti per l’impugnazione; risulta, inoltre, pacifico che l’effetto estensivo dell’impugnazione operi a favore degli altri imputati soltanto se questi non abbiano proposto impugnazione o se quella proposta sia stata dichiarata inammissibile e non quando essa sia stata esaminata nel merito, con decisione divenuta irrevocabile, poiché in tal caso opera il principio di inviolabilità del giudicato. Ulteriore aspetto su cui la giurisprudenza si mostra ferma è la natura di atipico rimedio straordinario e risolutivo del giudicato riconosciuta all’effetto estensivo, che, in tale chiave di lettura, non impedisce l’irrevocabilità del provvedimento nei confronti del non impugnante. Con l’entrata in vigore dell’attuale codice di rito, l’attenzione di quella parte della dottrina interessata all’argomento si è focalizzata non più sulla natura o sulla ratio dell’istituto – che ormai appaiono pacificamente riconducibili alla funzione di strumento ostativo al conflitto di giudicati, nella prospettiva di un pari trattamento per situazioni identiche –, ma sui rapporti tra l’estensione e la formazione del giudicato. La soluzione del quesito, lungi dall’essere mero esercizio dogmatico, presenta dei risvolti pratici di notevole rilevanza, che coinvolgono in primis il regime di esecutorietà delle statuizioni ivi contenute. In proposito va evidenziato come la posizione della dottrina maggioritaria sia antitetica rispetto all’orientamento giurisprudenziale costante, secondo cui l’effetto estensivo opererebbe ex post, senza sospendere medio tempore il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del non impugnante, né, di conseguenza, il procedimento di esecuzione. Altra questione controversa riguarda la possibilità per il non impugnante di presentare motivi nuovi. Secondo un’affermata linea interpretativa, tale diritto dovrebbe essere escluso, spettando all’impugnante «principale» di delimitare con i propri motivi d’impugnazione il tema su cui dovrà svolgersi il nuovo giudizio; un diverso indirizzo esegetico, facendo leva sulla circostanza che il non impugnante conserva nel giudizio di gravame la veste di imputato, con i diritti alla stessa connessi, ritiene che possa presentare suoi motivi nuovi, in virtù del disposto di cui all’art. 585 comma 4 c.p.p. Invero, i motivi nuovi sono espressione di un potere distinto da quello esercitato al momento della proposizione del gravame. Pertanto, qualora si riconoscesse come denominatore comune tra motivi nuovi e quelli iniziali i profili già individuati con l’atto d’impugnazione, i motivi differiti risulterebbero una semplice estrinsecazione del potere delle parti di depositare memorie illustrative a sostegno di quanto già rilevato. Può, quindi, ritenersi che per effetto del fenomeno estensivo il coimputato possa presentare motivi nuovi afferenti, all’interno del capo impugnato, anche a punti diversi da quelli originariamente gravati. Sul terreno delle impugnazioni cautelari, il tema dell’estensione soggettiva appare particolarmente complesso oltre che suscettibile di notevoli ricadute sia a livello teorico dei rapporti tra garanzie dell’individuo ed esigenze del processo, che sul piano pratico. L’analisi dei possibili margini di operatività dell’estensione nelle impugnazioni de libertate deve tenere conto di un dato basilare: il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione previsti dal libro IV del codice di rito, formano un sottosistema che, se da un lato accede ai principi generali delle impugnazioni, dall’altro presenta proprie peculiarità. I caratteri tipici della decisione cautelare, che ha ad oggetto un rapporto per sua natura instabile e costantemente rivedibile (ex art. 299 c.p.p.), e che è vincolata a serrate cadenze temporali, obbligano ad un parziale discostamento dal paradigma dell’estensione così come delineato dall’art. 587 c.p.p.

L'effetto estensivo delle impugnazioni penali

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2010-02-11

Abstract

Sebbene la ratio dell’istituto disciplinato dall’art. 587 c.p.p., sia prevenire il conflitto tra decisioni irrevocabili, assicurando la par condicio tra gli imputati che si trovino in situazioni identiche, in più occasioni la Corte di legittimità ha evidenziato come lo stesso non comporti una riammissione nei termini prescritti per l’impugnazione; risulta, inoltre, pacifico che l’effetto estensivo dell’impugnazione operi a favore degli altri imputati soltanto se questi non abbiano proposto impugnazione o se quella proposta sia stata dichiarata inammissibile e non quando essa sia stata esaminata nel merito, con decisione divenuta irrevocabile, poiché in tal caso opera il principio di inviolabilità del giudicato. Ulteriore aspetto su cui la giurisprudenza si mostra ferma è la natura di atipico rimedio straordinario e risolutivo del giudicato riconosciuta all’effetto estensivo, che, in tale chiave di lettura, non impedisce l’irrevocabilità del provvedimento nei confronti del non impugnante. Con l’entrata in vigore dell’attuale codice di rito, l’attenzione di quella parte della dottrina interessata all’argomento si è focalizzata non più sulla natura o sulla ratio dell’istituto – che ormai appaiono pacificamente riconducibili alla funzione di strumento ostativo al conflitto di giudicati, nella prospettiva di un pari trattamento per situazioni identiche –, ma sui rapporti tra l’estensione e la formazione del giudicato. La soluzione del quesito, lungi dall’essere mero esercizio dogmatico, presenta dei risvolti pratici di notevole rilevanza, che coinvolgono in primis il regime di esecutorietà delle statuizioni ivi contenute. In proposito va evidenziato come la posizione della dottrina maggioritaria sia antitetica rispetto all’orientamento giurisprudenziale costante, secondo cui l’effetto estensivo opererebbe ex post, senza sospendere medio tempore il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti del non impugnante, né, di conseguenza, il procedimento di esecuzione. Altra questione controversa riguarda la possibilità per il non impugnante di presentare motivi nuovi. Secondo un’affermata linea interpretativa, tale diritto dovrebbe essere escluso, spettando all’impugnante «principale» di delimitare con i propri motivi d’impugnazione il tema su cui dovrà svolgersi il nuovo giudizio; un diverso indirizzo esegetico, facendo leva sulla circostanza che il non impugnante conserva nel giudizio di gravame la veste di imputato, con i diritti alla stessa connessi, ritiene che possa presentare suoi motivi nuovi, in virtù del disposto di cui all’art. 585 comma 4 c.p.p. Invero, i motivi nuovi sono espressione di un potere distinto da quello esercitato al momento della proposizione del gravame. Pertanto, qualora si riconoscesse come denominatore comune tra motivi nuovi e quelli iniziali i profili già individuati con l’atto d’impugnazione, i motivi differiti risulterebbero una semplice estrinsecazione del potere delle parti di depositare memorie illustrative a sostegno di quanto già rilevato. Può, quindi, ritenersi che per effetto del fenomeno estensivo il coimputato possa presentare motivi nuovi afferenti, all’interno del capo impugnato, anche a punti diversi da quelli originariamente gravati. Sul terreno delle impugnazioni cautelari, il tema dell’estensione soggettiva appare particolarmente complesso oltre che suscettibile di notevoli ricadute sia a livello teorico dei rapporti tra garanzie dell’individuo ed esigenze del processo, che sul piano pratico. L’analisi dei possibili margini di operatività dell’estensione nelle impugnazioni de libertate deve tenere conto di un dato basilare: il riesame, l’appello ed il ricorso per cassazione previsti dal libro IV del codice di rito, formano un sottosistema che, se da un lato accede ai principi generali delle impugnazioni, dall’altro presenta proprie peculiarità. I caratteri tipici della decisione cautelare, che ha ad oggetto un rapporto per sua natura instabile e costantemente rivedibile (ex art. 299 c.p.p.), e che è vincolata a serrate cadenze temporali, obbligano ad un parziale discostamento dal paradigma dell’estensione così come delineato dall’art. 587 c.p.p.
The extensive effect in criminal appeals
11-feb-2010
Albano, Flavia
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11695/66239
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