L’occasione di seguire alcuni studenti laureandi come correlatore mi ha consentito di sviluppare anche in ambito accademico l’indagine personale, iniziata anni addietro, mirata a conseguire una possibile risposta al problema degli spazi verdi minori e residuali, che per vari motivi sono diventate aree di risulta prive di qualità e, come tali, soventemente trascurate dalle amministrazioni, ed ignorate o sopportate dai cittadini. Il presente lavoro testimonia pertanto uno sforzo civile e progettuale portato avanti tenacemente e senza perplessità, ed illustra una possibile risposta programmatica alla richiesta di fruizione, valorizzazione e talvolta anche di conservazione, di queste aree urbane trascurate e marginali. Spazi, che se interessati da un’accurata indagine, possono risultare vitali per migliorare la qualità della quotidianità dei cittadini, in quanto risorse ancora inespresse che si presentano ad essere potenziate e valorizzate. Tra le opportunità, disomogenee per dimensioni, per orografia e valori naturali offerti dalla capitale d’Italia, la scelta per determinare un sito dove focalizzare l’attenzione della ricerca è caduta su di un’area che affianca la strada consolare Flaminia lungo il lato est – nel tratto compreso tra piazzale Flaminio e ponte Milvio – in quanto particolare dal punto di vista morfologico, ampia a sufficienza per sperimentare più ipotesi progettuali, nonché emblematica per la situazione paradossale in cui versa da molto tempo, nonostante la sua ottima posizione subito a ridosso della città storica. Un’area per certi versi piena di poesia, caratterizzata da un salto di quota rilevante, ricca di flora spontanea e rigogliosa, come di bio-diversità, una porzione di territorio caratterizzato anche da quartieri e rioni con presenze architettoniche di rilievo, come villa Ruffo, villa Strohl-Fern, villa Balestra e villa Glori e i loro giardini, che annovera nelle sue vicinanze anche importati sedi ministeriali, universitarie e museali. Nel volume dato alle stampe la sezione descrittiva dei progetti è preceduta da un contributo incentrato sulla rappresentazione grafica, che, si badi bene, solo apparentemente è fuori contesto. Infatti, il disegno oltre ad essere una delle vie più antiche e sicure che l’uomo ha per conoscere il mondo (esso si pone sin dalla comparsa dei nostri antenati come strumento ‘utile’ all'operato dell'uomo), è anche il mediatore privilegiato tra colui che propone e colui che recepisce la proposta progettuale, per cui ci è apparso utile affrontare in questa sede pure tale tematica ed unire i due temi – la ricerca architettonica e la sua rappresentazione – in un unico messaggio culturale; il nostro interlocutore di certo non si troverebbe in errore se a questo punto pensasse che le proposte architettoniche presentate non sono altro che degli utili pretesti per parlare, ancora una volta, dell’efficacia espressiva e comunicativa di questo linguaggio universale, ed ecco quindi che la necessità di scorrere le sue fasi iniziali e quelle evolutive appare subito necessario, in virtù anche del fatto che il volume sin dall’inizio era pensato per un pubblico giovane ancora attivo nel percorso formativo di architetto o ingegnere. Analizzando le ricerche grafiche usate nell’esposizione delle soluzioni architettoniche quasi subito ci si accorge che il disegno è stato utilizzato in modo oculato, una scelta che ha premiato principalmente la coerenza e la qualità progettuale. Per la verità l’approccio non del tutto originale, ma nel caso in esame ci piace segnalarlo poiché ha stimolato oltre misura la fantasia dei proponenti, per cui le idee sono state offerte alla critica con una virtuosa e corposa produzione grafica, che comprende elaborati a due dimensioni, come piante, prospetti e sezioni – sia totali sia parziali, in questo caso ricorrendo a scale di riduzione differenti – dettagli costruttivi ed architettonici, ma anche grafici a tre dimensioni, assonometrie e prospettive, realizzati a mano libera e al computer, in questo caso producendo rendering foto-realistici a colori e in bianco e nero, in due e tre dimensioni. Pensare per progettare, sostiene Roberto Segoni, è una nobile attività della mente, perché costituisce, da sempre, la più potente strategia attuata dall’uomo per organizzare l’ambiente che lo circonda, ‘disegnandolo’ in funzione delle proprie esigenze. Quando usiamo l’espressione ‘dare forma all’ambiente’ nel senso più ampio della frase intendiamo, innanzitutto, disegnare: ovvero, rappresentare graficamente lo scenario possibile che abbiamo ideato per quel dato problema che si intende risolvere, naturalmente, ricorrendo a tutti i mezzi grafici a disposizione, dai primordiali (il segno lasciato sulla sabbia) ai più avanzati (il segno digitale). Continuando su questo filo del ragionamento: ci sembra lecito considerare la rappresentazione come il prodotto di un’intenzione, come un modo di pensare e di riconoscere la proposta progettuale, ma anche un modo per assegnare significati e per procedere nell'azione di ricerca. Le immagini divengono così ‘ipotesi’ da accogliere o scartare ed è su questi disegni che è possibile istituire le modalità di apprendimento della situazione oggetto di studio; come anche vagliare i termini per la più inequivocabile comunicazione delle informazioni acquisite. Nell'ordine, il disegno è quindi pensiero, comunicazione e memoria.

Il disegno di progetto applicato all'area dei costoni tufacei. Un percorso pedonale in quota da villa Glori alla scalinata di trinità dei Monti

BARLOZZINI, Piero;
2008-01-01

Abstract

L’occasione di seguire alcuni studenti laureandi come correlatore mi ha consentito di sviluppare anche in ambito accademico l’indagine personale, iniziata anni addietro, mirata a conseguire una possibile risposta al problema degli spazi verdi minori e residuali, che per vari motivi sono diventate aree di risulta prive di qualità e, come tali, soventemente trascurate dalle amministrazioni, ed ignorate o sopportate dai cittadini. Il presente lavoro testimonia pertanto uno sforzo civile e progettuale portato avanti tenacemente e senza perplessità, ed illustra una possibile risposta programmatica alla richiesta di fruizione, valorizzazione e talvolta anche di conservazione, di queste aree urbane trascurate e marginali. Spazi, che se interessati da un’accurata indagine, possono risultare vitali per migliorare la qualità della quotidianità dei cittadini, in quanto risorse ancora inespresse che si presentano ad essere potenziate e valorizzate. Tra le opportunità, disomogenee per dimensioni, per orografia e valori naturali offerti dalla capitale d’Italia, la scelta per determinare un sito dove focalizzare l’attenzione della ricerca è caduta su di un’area che affianca la strada consolare Flaminia lungo il lato est – nel tratto compreso tra piazzale Flaminio e ponte Milvio – in quanto particolare dal punto di vista morfologico, ampia a sufficienza per sperimentare più ipotesi progettuali, nonché emblematica per la situazione paradossale in cui versa da molto tempo, nonostante la sua ottima posizione subito a ridosso della città storica. Un’area per certi versi piena di poesia, caratterizzata da un salto di quota rilevante, ricca di flora spontanea e rigogliosa, come di bio-diversità, una porzione di territorio caratterizzato anche da quartieri e rioni con presenze architettoniche di rilievo, come villa Ruffo, villa Strohl-Fern, villa Balestra e villa Glori e i loro giardini, che annovera nelle sue vicinanze anche importati sedi ministeriali, universitarie e museali. Nel volume dato alle stampe la sezione descrittiva dei progetti è preceduta da un contributo incentrato sulla rappresentazione grafica, che, si badi bene, solo apparentemente è fuori contesto. Infatti, il disegno oltre ad essere una delle vie più antiche e sicure che l’uomo ha per conoscere il mondo (esso si pone sin dalla comparsa dei nostri antenati come strumento ‘utile’ all'operato dell'uomo), è anche il mediatore privilegiato tra colui che propone e colui che recepisce la proposta progettuale, per cui ci è apparso utile affrontare in questa sede pure tale tematica ed unire i due temi – la ricerca architettonica e la sua rappresentazione – in un unico messaggio culturale; il nostro interlocutore di certo non si troverebbe in errore se a questo punto pensasse che le proposte architettoniche presentate non sono altro che degli utili pretesti per parlare, ancora una volta, dell’efficacia espressiva e comunicativa di questo linguaggio universale, ed ecco quindi che la necessità di scorrere le sue fasi iniziali e quelle evolutive appare subito necessario, in virtù anche del fatto che il volume sin dall’inizio era pensato per un pubblico giovane ancora attivo nel percorso formativo di architetto o ingegnere. Analizzando le ricerche grafiche usate nell’esposizione delle soluzioni architettoniche quasi subito ci si accorge che il disegno è stato utilizzato in modo oculato, una scelta che ha premiato principalmente la coerenza e la qualità progettuale. Per la verità l’approccio non del tutto originale, ma nel caso in esame ci piace segnalarlo poiché ha stimolato oltre misura la fantasia dei proponenti, per cui le idee sono state offerte alla critica con una virtuosa e corposa produzione grafica, che comprende elaborati a due dimensioni, come piante, prospetti e sezioni – sia totali sia parziali, in questo caso ricorrendo a scale di riduzione differenti – dettagli costruttivi ed architettonici, ma anche grafici a tre dimensioni, assonometrie e prospettive, realizzati a mano libera e al computer, in questo caso producendo rendering foto-realistici a colori e in bianco e nero, in due e tre dimensioni. Pensare per progettare, sostiene Roberto Segoni, è una nobile attività della mente, perché costituisce, da sempre, la più potente strategia attuata dall’uomo per organizzare l’ambiente che lo circonda, ‘disegnandolo’ in funzione delle proprie esigenze. Quando usiamo l’espressione ‘dare forma all’ambiente’ nel senso più ampio della frase intendiamo, innanzitutto, disegnare: ovvero, rappresentare graficamente lo scenario possibile che abbiamo ideato per quel dato problema che si intende risolvere, naturalmente, ricorrendo a tutti i mezzi grafici a disposizione, dai primordiali (il segno lasciato sulla sabbia) ai più avanzati (il segno digitale). Continuando su questo filo del ragionamento: ci sembra lecito considerare la rappresentazione come il prodotto di un’intenzione, come un modo di pensare e di riconoscere la proposta progettuale, ma anche un modo per assegnare significati e per procedere nell'azione di ricerca. Le immagini divengono così ‘ipotesi’ da accogliere o scartare ed è su questi disegni che è possibile istituire le modalità di apprendimento della situazione oggetto di studio; come anche vagliare i termini per la più inequivocabile comunicazione delle informazioni acquisite. Nell'ordine, il disegno è quindi pensiero, comunicazione e memoria.
2008
978-88-6060-166-7
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