Il volume Eccezione di abuso e funzione negoziale (2005) rappresenta il risultato di una approfondita ricerca su un argomento intorno al quale fin troppo spesso si sono avvicendate indagini intese ad indulgere in catalogazioni di preesistenze storiche o in altrettanto discontinue ed affrettate rassegne comparative. L'analisi assume, quale obiettivo prioritario, la determinazione di un fondamento sistematico idoneo a giustificare il ricorso alla exceptio doli generalis; ciò nell'ambito di una considerazione funzionale, attenta al momento dell'esercizio delle situazioni soggettive, e di una consapevole revisione delle qualificazioni corrispondenti al profilo statico (fonte) e a quello dinamico (esercizio) delle situazioni stesse. Si pongono in tal modo le condizioni per un corretto impiego di tale istituto, di là dai fraintendimenti che altre direzioni di indagine (troppo fiduciose nei riguardi del potenziale euristico della buona fede o dei successi di una strategia di decostruzione dell'astrattezza negoziale) avevano affacciato. Al fine di evitare l'arbitraria applicazione della figura in esame, si procede, preliminarmente, ad apprestare un'opera di chiarificazione terminologica. La exceptio doli generalmente ricondotta all'interno di una confusa congerie di categorie ( dolo, frode, mala fede oggettiva, abuso) il cui ambito di applicazione incerto denota, con altrettanta vaghezza, la definizione semantica di tale istituto. Si procede, pertanto, a demarcare entro la suddetta pluralità di accezioni che accompagnano l'impiego di questa formula romana dal diritto comune ai diritti codificati, i confini dell'agire “scorretto” e a individuare le ipotesi nelle quali discorrere della eccezione in esame assuma un significato autonomo, tecnicamente elaborato, non dissolvendosi in una generica obiezione contro ogni agire disonesto. L'irrilevanza dell'intenzione di nuocere impone di abbandonare il rilievo un tempo riconosciuto all'elemento soggettivo e di valutare la condotta nella sua oggettività . Con dovizia di argomentazioni è, al riguardo, precisato come il frequente richiamo della categoria concettuale “dolo” risulti inidoneo a configurare l'operatività di quel che parte maggioritaria della dottrina suole definire «eccezione di dolo». Se di “dolo” si discorre impropriamente, ancor meno è lecito discorrere di agire fraudolento, considerata la diversità dei presupposti che accompagnano il mobile impiego di tale categoria (frode alla legge, frode ai creditori). L'attenzione, pertanto, è riservata all'uso c.d. «oggettivamente anormale del diritto»: abusività che emerge non quale carattere intrinseco dell'atto, ma dall'esercizio della situazione giuridica, sì che dalla disfunzione dell'attività rispetto alla sua giustificazione sia possibile delineare l'operatività di quella che è, a tal punto dell'indagine, convincentemente ridefinita eccezione di abuso. Compiuta tale opera di necessario chiarimento e ridefinizione del concetto, il lavoro prosegue dedicandosi all'analisi dei contesti applicativi delle qualificazioni di abusività della condotta. Anche rispetto a questo problema l'indagine intende evitare acritiche assimilazioni, sì che nella variegata fenomenologia (atti emulativi, abusi societari, voto divergente dell'azionista, clausole abusive, abusi di posizione dominante o di dipendenza economica, escussione abusiva delle garanzie a prima richiesta) si incide mediante una distinzione fondamentale: da un lato, le ipotesi nelle quali l'abusività sia invocata per invalidare o rendere inefficace il fatto giuridico che è fonte degli effetti e, dall'altro, le ipotesi nelle quali si contesti non la validità ma la qualificabilità del comportamento, ossia la sua significatività giuridica come esercizio di una situazione soggettiva senza porre in discussione l'efficacia o la validità della sua fonte. Unicamente in tale seconda accezione la qualificazione di abusività si pone all'origine di una autonoma categoria giuridica (nelle altre fattispecie risolvendosi nella ricerca del fondamento dell'invalidità o inefficacia) e su di essa si concentra l'attenzione negli svolgimenti successivi del lavoro. L'analisi, inoltre, non tralascia il compito di revisione critica di quel duplice insieme di opinioni dottrinarie, le quali cercano talvolta di recuperare la portata applicativa della exceptio doli meramente invocando l'esigenza di recuperare una tradizione storica che si asserisce essere verso di essa incline (tradizione in verità discontinua e controversa), o, tal altra, di fondarne la rilevanza soltanto mediante argomenti comparativi (anche in questo caso forzando l'evidenza di un quadro ordinamentale tutt'altro che omogeneo). Posto in dovuto conto è anche il frequente richiamo alla buona fede e correttezza (rectius, il tentativo di ricostruire la exceptio doli sulla base delle sole disposizioni normative contenute negli artt. 1375 e 1175 cod. civ.): illustrata è la mutevole fortuna del ricorso a tale clausola generale, la diversificazione dei risultati applicativi della quale si misura attraverso i mutamenti della forma di Stato (totalitaria o democratica); ampiamente dibattuti i richiami: a quella che da «valida base» per taluni si rivela «fondamento insufficiente» per altri. In conformità agli assunti metodologici che sorreggono il lavoro si procede a costruire l'abuso non tanto nel fin troppo pregiudicato ambito della buona fede ma entro la più vasta opera di configurazione del profilo dinamico delle situazioni soggettive, poiché la funzione (qui intesa nel suo complessivo profilo regolamentare) costituisce l'ambito giustificativo del quale la buona fede è (benché certo rilevante) soltanto uno dei rispettivi indici di attribuzione della significatività giuridica del comportamento che intenda qualificarsi come esercizio di una situazione soggettiva in conformità al suo fatto costitutivo. Non si omette, infine, di tenere nella dovuta considerazione l'ampio dibattito tra causalità ed astrattezza negoziale: dibattito spesso posto al centro della problematica sull'esperibilità della exceptio doli tanto da indurre taluno a ravvisare in tale exceptio doli uno strumento tipico nei negozi astratti o, comunque, a ravvisare nella tormentata distinzione astratto/causale la matrice di ogni soluzione possibile. Ben più utile è la posizione argomentata nel lavoro ove si denuncia, nella disposizione costruttiva appena descritta, la più grave conseguenza della sopra ricordata confusione tra profili di qualificazione abusiva riferiti alla fonte e profili riferiti agli effetti: dalla prospettiva dell'esercizio delle situazioni soggettive si rende possibile volgere l'attenzione sull'individuazione delle condotte abusive la presenza delle quali è ravvisabile sia nei negozi astratti che causali, poiché da tale qualità essa non dipende. Il rilievo va posto, in definitiva, alla qualificazione di tali condotte ed alla necessità di verificare ( nel contesto dell'intera «operazione negoziale») se l'esercizio della situazione giuridica faccia conseguire la soddisfazione di un interesse che è sproporzionato rispetto all'assetto degli interessi sottostanti che emergono dalla funzione. In tal modo, l'eccezione di tale abuso viene a privare di significatività giuridica quel comportamento. Le conclusioni raggiunte sono sorrette da un adeguato apparato di riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.

Eccezione di abuso e funzione negoziale

TULLIO, Loredana
2005-01-01

Abstract

Il volume Eccezione di abuso e funzione negoziale (2005) rappresenta il risultato di una approfondita ricerca su un argomento intorno al quale fin troppo spesso si sono avvicendate indagini intese ad indulgere in catalogazioni di preesistenze storiche o in altrettanto discontinue ed affrettate rassegne comparative. L'analisi assume, quale obiettivo prioritario, la determinazione di un fondamento sistematico idoneo a giustificare il ricorso alla exceptio doli generalis; ciò nell'ambito di una considerazione funzionale, attenta al momento dell'esercizio delle situazioni soggettive, e di una consapevole revisione delle qualificazioni corrispondenti al profilo statico (fonte) e a quello dinamico (esercizio) delle situazioni stesse. Si pongono in tal modo le condizioni per un corretto impiego di tale istituto, di là dai fraintendimenti che altre direzioni di indagine (troppo fiduciose nei riguardi del potenziale euristico della buona fede o dei successi di una strategia di decostruzione dell'astrattezza negoziale) avevano affacciato. Al fine di evitare l'arbitraria applicazione della figura in esame, si procede, preliminarmente, ad apprestare un'opera di chiarificazione terminologica. La exceptio doli generalmente ricondotta all'interno di una confusa congerie di categorie ( dolo, frode, mala fede oggettiva, abuso) il cui ambito di applicazione incerto denota, con altrettanta vaghezza, la definizione semantica di tale istituto. Si procede, pertanto, a demarcare entro la suddetta pluralità di accezioni che accompagnano l'impiego di questa formula romana dal diritto comune ai diritti codificati, i confini dell'agire “scorretto” e a individuare le ipotesi nelle quali discorrere della eccezione in esame assuma un significato autonomo, tecnicamente elaborato, non dissolvendosi in una generica obiezione contro ogni agire disonesto. L'irrilevanza dell'intenzione di nuocere impone di abbandonare il rilievo un tempo riconosciuto all'elemento soggettivo e di valutare la condotta nella sua oggettività . Con dovizia di argomentazioni è, al riguardo, precisato come il frequente richiamo della categoria concettuale “dolo” risulti inidoneo a configurare l'operatività di quel che parte maggioritaria della dottrina suole definire «eccezione di dolo». Se di “dolo” si discorre impropriamente, ancor meno è lecito discorrere di agire fraudolento, considerata la diversità dei presupposti che accompagnano il mobile impiego di tale categoria (frode alla legge, frode ai creditori). L'attenzione, pertanto, è riservata all'uso c.d. «oggettivamente anormale del diritto»: abusività che emerge non quale carattere intrinseco dell'atto, ma dall'esercizio della situazione giuridica, sì che dalla disfunzione dell'attività rispetto alla sua giustificazione sia possibile delineare l'operatività di quella che è, a tal punto dell'indagine, convincentemente ridefinita eccezione di abuso. Compiuta tale opera di necessario chiarimento e ridefinizione del concetto, il lavoro prosegue dedicandosi all'analisi dei contesti applicativi delle qualificazioni di abusività della condotta. Anche rispetto a questo problema l'indagine intende evitare acritiche assimilazioni, sì che nella variegata fenomenologia (atti emulativi, abusi societari, voto divergente dell'azionista, clausole abusive, abusi di posizione dominante o di dipendenza economica, escussione abusiva delle garanzie a prima richiesta) si incide mediante una distinzione fondamentale: da un lato, le ipotesi nelle quali l'abusività sia invocata per invalidare o rendere inefficace il fatto giuridico che è fonte degli effetti e, dall'altro, le ipotesi nelle quali si contesti non la validità ma la qualificabilità del comportamento, ossia la sua significatività giuridica come esercizio di una situazione soggettiva senza porre in discussione l'efficacia o la validità della sua fonte. Unicamente in tale seconda accezione la qualificazione di abusività si pone all'origine di una autonoma categoria giuridica (nelle altre fattispecie risolvendosi nella ricerca del fondamento dell'invalidità o inefficacia) e su di essa si concentra l'attenzione negli svolgimenti successivi del lavoro. L'analisi, inoltre, non tralascia il compito di revisione critica di quel duplice insieme di opinioni dottrinarie, le quali cercano talvolta di recuperare la portata applicativa della exceptio doli meramente invocando l'esigenza di recuperare una tradizione storica che si asserisce essere verso di essa incline (tradizione in verità discontinua e controversa), o, tal altra, di fondarne la rilevanza soltanto mediante argomenti comparativi (anche in questo caso forzando l'evidenza di un quadro ordinamentale tutt'altro che omogeneo). Posto in dovuto conto è anche il frequente richiamo alla buona fede e correttezza (rectius, il tentativo di ricostruire la exceptio doli sulla base delle sole disposizioni normative contenute negli artt. 1375 e 1175 cod. civ.): illustrata è la mutevole fortuna del ricorso a tale clausola generale, la diversificazione dei risultati applicativi della quale si misura attraverso i mutamenti della forma di Stato (totalitaria o democratica); ampiamente dibattuti i richiami: a quella che da «valida base» per taluni si rivela «fondamento insufficiente» per altri. In conformità agli assunti metodologici che sorreggono il lavoro si procede a costruire l'abuso non tanto nel fin troppo pregiudicato ambito della buona fede ma entro la più vasta opera di configurazione del profilo dinamico delle situazioni soggettive, poiché la funzione (qui intesa nel suo complessivo profilo regolamentare) costituisce l'ambito giustificativo del quale la buona fede è (benché certo rilevante) soltanto uno dei rispettivi indici di attribuzione della significatività giuridica del comportamento che intenda qualificarsi come esercizio di una situazione soggettiva in conformità al suo fatto costitutivo. Non si omette, infine, di tenere nella dovuta considerazione l'ampio dibattito tra causalità ed astrattezza negoziale: dibattito spesso posto al centro della problematica sull'esperibilità della exceptio doli tanto da indurre taluno a ravvisare in tale exceptio doli uno strumento tipico nei negozi astratti o, comunque, a ravvisare nella tormentata distinzione astratto/causale la matrice di ogni soluzione possibile. Ben più utile è la posizione argomentata nel lavoro ove si denuncia, nella disposizione costruttiva appena descritta, la più grave conseguenza della sopra ricordata confusione tra profili di qualificazione abusiva riferiti alla fonte e profili riferiti agli effetti: dalla prospettiva dell'esercizio delle situazioni soggettive si rende possibile volgere l'attenzione sull'individuazione delle condotte abusive la presenza delle quali è ravvisabile sia nei negozi astratti che causali, poiché da tale qualità essa non dipende. Il rilievo va posto, in definitiva, alla qualificazione di tali condotte ed alla necessità di verificare ( nel contesto dell'intera «operazione negoziale») se l'esercizio della situazione giuridica faccia conseguire la soddisfazione di un interesse che è sproporzionato rispetto all'assetto degli interessi sottostanti che emergono dalla funzione. In tal modo, l'eccezione di tale abuso viene a privare di significatività giuridica quel comportamento. Le conclusioni raggiunte sono sorrette da un adeguato apparato di riferimenti bibliografici e giurisprudenziali.
2005
88-495-0766-6
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