Le società contemporanee sono caratterizzate da molteplici dicotomie e paradossi evidenti che le rendono difficilmente decifrabili. In un contesto iper-complesso cosi delineato, anche la salute e il benessere (OMS, 1948) degli individui vengono ridiscussi, soprattutto se quest’ultimi sono portatori di disabilità grave. In effetti, se da un lato le strutture societarie tendono a mettere in campo politiche inclusive ed egualitarie, dall’altra riproducono processi di emarginazione sociale, stigmatizzazione (Goffman E., 2003) ed isolamento. Tali meccanismi s’inseriscono nella più ampia discussione culturale e storica intorno alla disabilità laddove già dal linguaggio utilizzato, sia nel quotidiano che in ambito specialistico, si sono riscontrate e si riscontrano alcune problematiche: disabile, invalido, handicappato, non autosufficiente, soggetto normodotato, diversabile... Queste le più frequenti definizioni che s’incontrano nella già disorganica e frammentata legislazione italiana. La disabilità resta, per molti versi, un paradigma rigido, un modello interpretativo fisso della realtà (Goussot A., 2009, pp. 15-16); per altri, essa risponde ad un modello “benefico” che la considera “esperienza feconda e significante di conoscenza, di superamento, di trasfigurazione del sé” (Goussot A., 2009) (Ivi., cit. p. 16). La disabilità (soprattutto quella grave) viene ancora pensata, in altre parole, come sinonimo dicotomico e paradossale: essa è si deficit, menomazione (Ferrucci F., 2004, p. 20), fatto accaduto in modo accidentale al singolo, condizione che implica una perdita, una sottrazione, presupposto di diversità che si discosta dalla normalità ma anche (sebbene con meno frequenza) modalità di vivere semplicemente come esseri umani (Monceri F., 2012).

Durante e Dopo di Noi: riflessioni sul sistema di Welfare italiano di materia di disabilità grave

D'AMBROSIO M
2017-01-01

Abstract

Le società contemporanee sono caratterizzate da molteplici dicotomie e paradossi evidenti che le rendono difficilmente decifrabili. In un contesto iper-complesso cosi delineato, anche la salute e il benessere (OMS, 1948) degli individui vengono ridiscussi, soprattutto se quest’ultimi sono portatori di disabilità grave. In effetti, se da un lato le strutture societarie tendono a mettere in campo politiche inclusive ed egualitarie, dall’altra riproducono processi di emarginazione sociale, stigmatizzazione (Goffman E., 2003) ed isolamento. Tali meccanismi s’inseriscono nella più ampia discussione culturale e storica intorno alla disabilità laddove già dal linguaggio utilizzato, sia nel quotidiano che in ambito specialistico, si sono riscontrate e si riscontrano alcune problematiche: disabile, invalido, handicappato, non autosufficiente, soggetto normodotato, diversabile... Queste le più frequenti definizioni che s’incontrano nella già disorganica e frammentata legislazione italiana. La disabilità resta, per molti versi, un paradigma rigido, un modello interpretativo fisso della realtà (Goussot A., 2009, pp. 15-16); per altri, essa risponde ad un modello “benefico” che la considera “esperienza feconda e significante di conoscenza, di superamento, di trasfigurazione del sé” (Goussot A., 2009) (Ivi., cit. p. 16). La disabilità (soprattutto quella grave) viene ancora pensata, in altre parole, come sinonimo dicotomico e paradossale: essa è si deficit, menomazione (Ferrucci F., 2004, p. 20), fatto accaduto in modo accidentale al singolo, condizione che implica una perdita, una sottrazione, presupposto di diversità che si discosta dalla normalità ma anche (sebbene con meno frequenza) modalità di vivere semplicemente come esseri umani (Monceri F., 2012).
2017
978-88-495-3441-2
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