Il presente lavoro si prefigge la finalità di analizzare taluni aspetti legati al diritto reale di abitazione, con speciale riferimento al divieto di cessione del predetto diritto previsto dall’articolo 1024 del codice civile. Tale problematica, inoltre, è strettamente connessa anche ad altri aspetti pratici, quali l’ipotecabilità e l’espropriabilità del predetto diritto reale. In particolare è apparso opportuno approfondire preliminarmente taluni profili di carattere generale riguardanti il diritto di abitazione, nei limiti in cui essi fossero funzionali alla ricostruzione che si è tentato di proporre. A tal fine, sono stati affrontati alcuni aspetti, quali la natura giuridica e i presupposti soggettivi ed oggettivi, in quanto ritenuti propedeutici al prosieguo della trattazione. In particolare l’esclusione del diritto d’ abitazione dal novero dei diritti ipotecabili ha sollevato diverse questioni in dottrina e in giurisprudenza. L’inattitudine del predetto diritto ad essere oggetto d’iscrizione ipotecaria deve essere necessariamente valutato alla luce della propria disciplina. Il diritto d’abitazione consente al titolare di abitare una casa “limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia” (art. 1022 cod. civ.). Il rapporto che si instaura a seguito della costituzione del diritto è fondato sull’intuitus personae, sia sotto il profilo del contenuto del diritto che sotto il profilo del rapporto dell’habitator con il proprietario dell’immobile. La limitazione dell’esercizio del diritto al soddisfacimento dei bisogni del suo titolare, infatti, da una parte implica che il suo trasferimento ad un terzo potrebbe mutarne il contenuto, con eventuale nocumento per il proprietario; dall’altra implica che qualora la casa risulti di estensione maggiore rispetto alle esigenze dell’habitator, il proprietario potrà goderne per la parte eccedente: il titolare del diritto reale d’abitazione non avrebbe infatti titolo ad opporsi alle ingerenze del proprietario, nei limiti in cui quest’ultimo non molesti il libero godimento dell’altra parte dell’abitazione. Anche sotto questo secondo profilo emerge la personalità del rapporto, essendo rilevante per il proprietario la persona del titolare del diritto, con il quale potrebbe anche trovarsi dover convivere. Tali motivazioni costituiscono la ratio alla base del divieto di cessione e di locazione del diritto in esame, ex art. 1024 cod. civ. Tale divieto costituisce a sua volta il fondamento dell’esclusione del diritto d’abitazione (e d’uso) dall’elenco dei diritti ipotecabili ex art. 2810 cod. civ. La realizzazione della causa di garanzia, infatti, implica che la situazione sostanziale dedotta quale oggetto dell’ipoteca sia alienabile, non potendo immaginarsi una vendita forzata del diritto ove di questo non possa normalmente disporne il titolare. Probabilmente a ciò è legata anche la precisazione posta dall’art. 2810 n. 1) cod. civ., per cui sono ipotecabili gli immobili “che sono in commercio”. L’ammissibilità dell’iscrizione ipotecaria sul diritto d’abitazione postula il riconoscimento della sua trasferibilità: è dunque necessaria un’analisi della portata del divieto di cessione di tale diritto posto dall’art. 1024 cod. civ. Come accennato, infatti, tale divieto è posto al fine di tutelare la posizione del proprietario dell’immobile, e dunque a presidio di interessi di natura privatistica: la regola sarebbe quindi applicabile ove non sia diversamente disposto dal titolo costitutivo, mentre con l’accordo di proprietario ed habitator potrebbe prevedersi una più o meno libera cedibilità, grazie al consenso della parte che la disciplina codicistica mira a tutelare. In merito è stato obiettato che il divieto di cessione non solo sia disposto a tutela della posizione del nudo proprietario, ma faccia parte del contenuto stesso del diritto, in quanto al variare del titolare sono destinate a variare anche le esigenze in base alle quali il contenuto di detto diritto è parametrato. In tale ottica, la possibilità che esso circoli, seppure con il consenso del nudo proprietario, porterebbe a rendere variabile la portata stessa del diritto, con conseguente violazione del principio di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, in quanto risulterebbero alterati gli aspetti caratterizzanti della disciplina tipica dell’istituto. Qualora si ritenessero accoglibili siffatte osservazioni, dovrebbe conseguentemente ritenersi che il divieto di cui all’art. 1024 cod. civ. sia inderogabile anche con il consenso del nudo proprietario contro interessato. Il principio della tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, infatti, è posto a tutela di interessi di carattere generale, ed ha dunque valenza pubblicistica. Tale principio, come noto, risponde all’esigenza di consentire ai terzi di essere preventivamente a conoscenza dell’esistenza di pesi o vincoli opponibili erga omnes, con conseguente tutela del commercio giuridico; persegue inoltre l’utilità socio-economica di salvaguardare, per quanto possibile, la libertà, l’assolutezza e la pienezza della proprietà fondiaria, ed assurge dunque a principio di rilevanza costituzionale. Altro fondamento del divieto è stato, inoltre, riscontrato in via indiretta nel disposto di cui all’art. 1372 c. 3 cod. civ., per cui è inibita alle parti la stipulazione di contratti ad effetti reali oltre i casi previsti dalla legge. Inoltre, i fautori dell’inderogabilità del divieto ritengono che non sia applicabile al diritto d’abitazione la disciplina che consente il trasferimento dell’usufrutto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se non vietato dal titolo costitutivo (art. 980 cod. civ.), mancando in tal caso la compatibilità tra discipline richiesta dall’art. 1026 cod. civ. Nell’usufrutto, infatti, la tutela del nudo proprietario deriva dal fatto che la durata massima del diritto gravante sull’immobile di sua titolarità è ancorata alla durata dell’originario usufrutto su esso costituito. Conseguentemente la cessione del diritto non rischierebbe di produrre una limitazione ulteriore al pieno estendersi delle facoltà proprietarie. Diversamente, in ipotesi di cessione del diritto d’abitazione, la mutevolezza dei bisogni del titolare e della sua famiglia non consente di riprodurre in via pattizia una limitazione del diritto di proprietà che risulti indifferente per il nudo proprietario: la coincidenza dei bisogni del cedente e della sua famiglia con quelli del cessionario e della sua famiglia, infatti, rappresenterebbe un dato verificabile solo a posteriori. La difficoltà di conciliare il patto in deroga al divieto di cessione del diritto d’abitazione con il principio di tipicità dei diritti reali ha condotto parte della dottrina a giustificarne l’ammissibilità ritenendo che esso trasformerebbe il diritto d’abitazione in un altro diritto reale (con conseguente mancata creazione di un diritto reale atipico). In tale ottica, in sede interpretativa potrebbe ritenersi che, con la stipulazione del patto di libera trasferibilità, le parti abbiano inteso in realtà costituire un diritto d’usufrutto, ovvero stipulare un contratto di comodato o di locazione, o che comunque tale diverso diritto esse avrebbero inteso costituire qualora fossero state a conoscenza della nullità del patto (arg. ex art. 1424 cod. civ.). Diversa dall’ipotesi del preventivo patto di cedibilità è quella del trasferimento del diritto con contestuale costituzione in atto di nudo proprietario ed habitator. In tal caso, infatti, il trasferimento potrebbe ottenersi attraverso una rinuncia abdicativa ( la quale deve avere forma scritta art.1350 n.5 e deve essere trascritta ai sensi dell’articolo 2643 n.5) da parte dell’habitator al proprio diritto, con conseguente espansione della nuda proprietà in proprietà piena in virtù del principio di elasticità del dominio. Alla luce di tali premesse, può osservarsi quanto segue. L’ intrasferibilità di un diritto reale viene ad incidere anche sulla valutazione del legislatore in ordine all’ ipotecabilità del medesimo. La non assoggettabilità ad ipoteca non è conseguenza necessaria dell’inalienabilità, e in diversi casi, pur essendo prevista l’intrasferibilità del diritto, non si esclude che il diritto stesso possa essere ipotecato. Tuttavia, qualora l’intrasferibilità sia connessa, come nel caso dell’abitazione alla natura del diritto, e dunque all’esigenza di preservarne l’identità, che sarebbe invece compromessa dalla circolazione del diritto, le medesime ragioni che valgono ad escluderne l’alienabilità assumono valore determinante anche al fine di escluderne l’assoggettabilità ad ipoteca. E’ pacifico l’orientamento secondo il quale il diritto di abitazione, come quello d’uso e il diritto di servitù, non può essere oggetto di ipoteca in quanto non è ricompreso nell’elencazione dell’articolo 2810 del codice civile. L’ipotecabilità di tale diritto non è prevista nemmeno da leggi speciali. Pertanto deve ritenersi che il diritto di abitazione sia inidoneo ad essere oggetto d’ipoteca anche a causa del suo carattere inalienabile. Nel secondo capitolo è stato affrontato il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite. La norma di riferimento, l'articolo 540 comma secondo, si trova, com'è noto, nella parte del libro II dedicato ai diritti spettanti ai legittimari e alla loro tutela, e la sua ratio - secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 310 del 26 maggio 1989) va ricercata nella tutela di interessi non patrimoniali quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio. La natura giuridica dei diritti ex articolo 540 comma secondo non solo riveste notevole interesse teorico al fine di testare la "messa a punto" degli ingranaggi del complesso meccanismo successorio, ma costituisce un imprescindibile punto di partenza per affrontare - e provare a risolvere - tutte le implicazioni di carattere pratico ed operativo che si presentano all'operatore del diritto. Il diritto di abitazione si "attiva" solo in presenza di determinati presupposti: 1) viene, innanzitutto, in rilievo un PRESUPPOSTO SOGGETTIVO Deve infatti esistere un CONIUGE SUPERSTITE al momento dell'apertura della successione. Il presupposto soggettivo è rispettato anche se il coniuge superstite sia SEPARATO CONSENSUALMENTE o SENZA ADDEBITO? L'articolo 585 c.c. attribuisce al coniuge separato consensualmente o senza addebito gli stessi diritti successori spettanti al coniuge non separato, per cui dovremmo - sulla base di un'applicazione letterale e rigorosa della norma - affermare che ad esso spetti anche il diritto di abitare la casa familiare. Senonchè, in tal caso, risulta "imbarazzante" parlare di abitazione adibita a "residenza familiare" e la norma non avrebbe ragione di essere applicata, venuta meno la sua ratio così come individuata dalla corte costituzionale. 2) viene, poi, in rilievo, quale PRESUPPOSTO OGGETTIVO indispensabile per l'operatività della disciplina in oggetto, l'esistenza di una CASA ADIBITA A RESIDENZA FAMILIARE DI PROPRIETÀ DEL DEFUNTO O COMUNE. Coerentemenente dovrebbe anche sostenerne la sua TRASCRIVIBILITA' A ciò, tuttavia, si oppongono ragioni di ordine pratico: per l'esecuzione della formalità è necessario uno dei titoli previsti dall'articolo 2648 c.c. che, evidentemente, mancano ogniqualvolta si apra una successione legittima.

Il diritto di abitazione

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2015-05-15

Abstract

Il presente lavoro si prefigge la finalità di analizzare taluni aspetti legati al diritto reale di abitazione, con speciale riferimento al divieto di cessione del predetto diritto previsto dall’articolo 1024 del codice civile. Tale problematica, inoltre, è strettamente connessa anche ad altri aspetti pratici, quali l’ipotecabilità e l’espropriabilità del predetto diritto reale. In particolare è apparso opportuno approfondire preliminarmente taluni profili di carattere generale riguardanti il diritto di abitazione, nei limiti in cui essi fossero funzionali alla ricostruzione che si è tentato di proporre. A tal fine, sono stati affrontati alcuni aspetti, quali la natura giuridica e i presupposti soggettivi ed oggettivi, in quanto ritenuti propedeutici al prosieguo della trattazione. In particolare l’esclusione del diritto d’ abitazione dal novero dei diritti ipotecabili ha sollevato diverse questioni in dottrina e in giurisprudenza. L’inattitudine del predetto diritto ad essere oggetto d’iscrizione ipotecaria deve essere necessariamente valutato alla luce della propria disciplina. Il diritto d’abitazione consente al titolare di abitare una casa “limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia” (art. 1022 cod. civ.). Il rapporto che si instaura a seguito della costituzione del diritto è fondato sull’intuitus personae, sia sotto il profilo del contenuto del diritto che sotto il profilo del rapporto dell’habitator con il proprietario dell’immobile. La limitazione dell’esercizio del diritto al soddisfacimento dei bisogni del suo titolare, infatti, da una parte implica che il suo trasferimento ad un terzo potrebbe mutarne il contenuto, con eventuale nocumento per il proprietario; dall’altra implica che qualora la casa risulti di estensione maggiore rispetto alle esigenze dell’habitator, il proprietario potrà goderne per la parte eccedente: il titolare del diritto reale d’abitazione non avrebbe infatti titolo ad opporsi alle ingerenze del proprietario, nei limiti in cui quest’ultimo non molesti il libero godimento dell’altra parte dell’abitazione. Anche sotto questo secondo profilo emerge la personalità del rapporto, essendo rilevante per il proprietario la persona del titolare del diritto, con il quale potrebbe anche trovarsi dover convivere. Tali motivazioni costituiscono la ratio alla base del divieto di cessione e di locazione del diritto in esame, ex art. 1024 cod. civ. Tale divieto costituisce a sua volta il fondamento dell’esclusione del diritto d’abitazione (e d’uso) dall’elenco dei diritti ipotecabili ex art. 2810 cod. civ. La realizzazione della causa di garanzia, infatti, implica che la situazione sostanziale dedotta quale oggetto dell’ipoteca sia alienabile, non potendo immaginarsi una vendita forzata del diritto ove di questo non possa normalmente disporne il titolare. Probabilmente a ciò è legata anche la precisazione posta dall’art. 2810 n. 1) cod. civ., per cui sono ipotecabili gli immobili “che sono in commercio”. L’ammissibilità dell’iscrizione ipotecaria sul diritto d’abitazione postula il riconoscimento della sua trasferibilità: è dunque necessaria un’analisi della portata del divieto di cessione di tale diritto posto dall’art. 1024 cod. civ. Come accennato, infatti, tale divieto è posto al fine di tutelare la posizione del proprietario dell’immobile, e dunque a presidio di interessi di natura privatistica: la regola sarebbe quindi applicabile ove non sia diversamente disposto dal titolo costitutivo, mentre con l’accordo di proprietario ed habitator potrebbe prevedersi una più o meno libera cedibilità, grazie al consenso della parte che la disciplina codicistica mira a tutelare. In merito è stato obiettato che il divieto di cessione non solo sia disposto a tutela della posizione del nudo proprietario, ma faccia parte del contenuto stesso del diritto, in quanto al variare del titolare sono destinate a variare anche le esigenze in base alle quali il contenuto di detto diritto è parametrato. In tale ottica, la possibilità che esso circoli, seppure con il consenso del nudo proprietario, porterebbe a rendere variabile la portata stessa del diritto, con conseguente violazione del principio di tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, in quanto risulterebbero alterati gli aspetti caratterizzanti della disciplina tipica dell’istituto. Qualora si ritenessero accoglibili siffatte osservazioni, dovrebbe conseguentemente ritenersi che il divieto di cui all’art. 1024 cod. civ. sia inderogabile anche con il consenso del nudo proprietario contro interessato. Il principio della tipicità e del numerus clausus dei diritti reali, infatti, è posto a tutela di interessi di carattere generale, ed ha dunque valenza pubblicistica. Tale principio, come noto, risponde all’esigenza di consentire ai terzi di essere preventivamente a conoscenza dell’esistenza di pesi o vincoli opponibili erga omnes, con conseguente tutela del commercio giuridico; persegue inoltre l’utilità socio-economica di salvaguardare, per quanto possibile, la libertà, l’assolutezza e la pienezza della proprietà fondiaria, ed assurge dunque a principio di rilevanza costituzionale. Altro fondamento del divieto è stato, inoltre, riscontrato in via indiretta nel disposto di cui all’art. 1372 c. 3 cod. civ., per cui è inibita alle parti la stipulazione di contratti ad effetti reali oltre i casi previsti dalla legge. Inoltre, i fautori dell’inderogabilità del divieto ritengono che non sia applicabile al diritto d’abitazione la disciplina che consente il trasferimento dell’usufrutto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se non vietato dal titolo costitutivo (art. 980 cod. civ.), mancando in tal caso la compatibilità tra discipline richiesta dall’art. 1026 cod. civ. Nell’usufrutto, infatti, la tutela del nudo proprietario deriva dal fatto che la durata massima del diritto gravante sull’immobile di sua titolarità è ancorata alla durata dell’originario usufrutto su esso costituito. Conseguentemente la cessione del diritto non rischierebbe di produrre una limitazione ulteriore al pieno estendersi delle facoltà proprietarie. Diversamente, in ipotesi di cessione del diritto d’abitazione, la mutevolezza dei bisogni del titolare e della sua famiglia non consente di riprodurre in via pattizia una limitazione del diritto di proprietà che risulti indifferente per il nudo proprietario: la coincidenza dei bisogni del cedente e della sua famiglia con quelli del cessionario e della sua famiglia, infatti, rappresenterebbe un dato verificabile solo a posteriori. La difficoltà di conciliare il patto in deroga al divieto di cessione del diritto d’abitazione con il principio di tipicità dei diritti reali ha condotto parte della dottrina a giustificarne l’ammissibilità ritenendo che esso trasformerebbe il diritto d’abitazione in un altro diritto reale (con conseguente mancata creazione di un diritto reale atipico). In tale ottica, in sede interpretativa potrebbe ritenersi che, con la stipulazione del patto di libera trasferibilità, le parti abbiano inteso in realtà costituire un diritto d’usufrutto, ovvero stipulare un contratto di comodato o di locazione, o che comunque tale diverso diritto esse avrebbero inteso costituire qualora fossero state a conoscenza della nullità del patto (arg. ex art. 1424 cod. civ.). Diversa dall’ipotesi del preventivo patto di cedibilità è quella del trasferimento del diritto con contestuale costituzione in atto di nudo proprietario ed habitator. In tal caso, infatti, il trasferimento potrebbe ottenersi attraverso una rinuncia abdicativa ( la quale deve avere forma scritta art.1350 n.5 e deve essere trascritta ai sensi dell’articolo 2643 n.5) da parte dell’habitator al proprio diritto, con conseguente espansione della nuda proprietà in proprietà piena in virtù del principio di elasticità del dominio. Alla luce di tali premesse, può osservarsi quanto segue. L’ intrasferibilità di un diritto reale viene ad incidere anche sulla valutazione del legislatore in ordine all’ ipotecabilità del medesimo. La non assoggettabilità ad ipoteca non è conseguenza necessaria dell’inalienabilità, e in diversi casi, pur essendo prevista l’intrasferibilità del diritto, non si esclude che il diritto stesso possa essere ipotecato. Tuttavia, qualora l’intrasferibilità sia connessa, come nel caso dell’abitazione alla natura del diritto, e dunque all’esigenza di preservarne l’identità, che sarebbe invece compromessa dalla circolazione del diritto, le medesime ragioni che valgono ad escluderne l’alienabilità assumono valore determinante anche al fine di escluderne l’assoggettabilità ad ipoteca. E’ pacifico l’orientamento secondo il quale il diritto di abitazione, come quello d’uso e il diritto di servitù, non può essere oggetto di ipoteca in quanto non è ricompreso nell’elencazione dell’articolo 2810 del codice civile. L’ipotecabilità di tale diritto non è prevista nemmeno da leggi speciali. Pertanto deve ritenersi che il diritto di abitazione sia inidoneo ad essere oggetto d’ipoteca anche a causa del suo carattere inalienabile. Nel secondo capitolo è stato affrontato il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite. La norma di riferimento, l'articolo 540 comma secondo, si trova, com'è noto, nella parte del libro II dedicato ai diritti spettanti ai legittimari e alla loro tutela, e la sua ratio - secondo la Corte Costituzionale (sentenza n. 310 del 26 maggio 1989) va ricercata nella tutela di interessi non patrimoniali quali la conservazione della memoria del coniuge scomparso, il mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio. La natura giuridica dei diritti ex articolo 540 comma secondo non solo riveste notevole interesse teorico al fine di testare la "messa a punto" degli ingranaggi del complesso meccanismo successorio, ma costituisce un imprescindibile punto di partenza per affrontare - e provare a risolvere - tutte le implicazioni di carattere pratico ed operativo che si presentano all'operatore del diritto. Il diritto di abitazione si "attiva" solo in presenza di determinati presupposti: 1) viene, innanzitutto, in rilievo un PRESUPPOSTO SOGGETTIVO Deve infatti esistere un CONIUGE SUPERSTITE al momento dell'apertura della successione. Il presupposto soggettivo è rispettato anche se il coniuge superstite sia SEPARATO CONSENSUALMENTE o SENZA ADDEBITO? L'articolo 585 c.c. attribuisce al coniuge separato consensualmente o senza addebito gli stessi diritti successori spettanti al coniuge non separato, per cui dovremmo - sulla base di un'applicazione letterale e rigorosa della norma - affermare che ad esso spetti anche il diritto di abitare la casa familiare. Senonchè, in tal caso, risulta "imbarazzante" parlare di abitazione adibita a "residenza familiare" e la norma non avrebbe ragione di essere applicata, venuta meno la sua ratio così come individuata dalla corte costituzionale. 2) viene, poi, in rilievo, quale PRESUPPOSTO OGGETTIVO indispensabile per l'operatività della disciplina in oggetto, l'esistenza di una CASA ADIBITA A RESIDENZA FAMILIARE DI PROPRIETÀ DEL DEFUNTO O COMUNE. Coerentemenente dovrebbe anche sostenerne la sua TRASCRIVIBILITA' A ciò, tuttavia, si oppongono ragioni di ordine pratico: per l'esecuzione della formalità è necessario uno dei titoli previsti dall'articolo 2648 c.c. che, evidentemente, mancano ogniqualvolta si apra una successione legittima.
Housing
15-mag-2015
Iannoto, Silvio
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