Fin dal suo ingresso nel nostro ordinamento giuridico, avvenuto con l’introduzione del nuovo codice del 1988, l’applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444-448 c.p.p.), meglio conosciuta come “patteggiamento”, ha suscitato molte polemiche e infiniti dibattiti sulla sua natura e, soprattutto, sulla compatibilità con i principi costituzionali (e non solo). Ancor oggi, non sono state trovate soluzioni definitive, generalmente condivise, sugli aspetti ontologicamente ad esso connessi. Introdotto per deflazionare un sistema altrimenti destinato al collasso, il patteggiamento si è, inoltre, plasmato in forza degli innumerevoli spunti offerti dalla prassi applicativa che lo hanno arricchito di sfumature e di contenuti talora non previsti in sede di elaborazione teorica. A tale processo evolutivo non sono estranei gli interventi del legislatore. Il più importante è costituito dalla legge 12 giugno 2003, n. 134, con la quale si è introdotto il c.d. patteggiamento “allargato”. L’evoluzione dell’istituto non ha, però, ancora raggiunto un profilo definito e la ragione è, anche, connessa alla volontà del legislatore del 1988 di non “imbrigliare” i contenuti del congegno negoziale in linee portanti blindate, preferendo, invece, tracciare solo i contorni di un istituto nuovissimo che doveva essere sperimentato dalla pratica prima di rivelare i tratti precisi della sua fisionomia: se da un lato, è pur vero che l’approccio all’istituto è stato fortemente condizionato da una tradizione non avvezza ad amministrare procedimenti di giustizia negoziata, dall’altro non si può negare che le difficoltà di coordinamento tra il patteggiamento e le regole di un ordinamento processuale collocato nell’ambito dei sistemi di civil law non sembrano essere soltanto il frutto di un pregiudizio culturale.

Le "aporie" del patteggiamento.

CECANESE, Gianfederico
2017-01-01

Abstract

Fin dal suo ingresso nel nostro ordinamento giuridico, avvenuto con l’introduzione del nuovo codice del 1988, l’applicazione della pena su richiesta delle parti (artt. 444-448 c.p.p.), meglio conosciuta come “patteggiamento”, ha suscitato molte polemiche e infiniti dibattiti sulla sua natura e, soprattutto, sulla compatibilità con i principi costituzionali (e non solo). Ancor oggi, non sono state trovate soluzioni definitive, generalmente condivise, sugli aspetti ontologicamente ad esso connessi. Introdotto per deflazionare un sistema altrimenti destinato al collasso, il patteggiamento si è, inoltre, plasmato in forza degli innumerevoli spunti offerti dalla prassi applicativa che lo hanno arricchito di sfumature e di contenuti talora non previsti in sede di elaborazione teorica. A tale processo evolutivo non sono estranei gli interventi del legislatore. Il più importante è costituito dalla legge 12 giugno 2003, n. 134, con la quale si è introdotto il c.d. patteggiamento “allargato”. L’evoluzione dell’istituto non ha, però, ancora raggiunto un profilo definito e la ragione è, anche, connessa alla volontà del legislatore del 1988 di non “imbrigliare” i contenuti del congegno negoziale in linee portanti blindate, preferendo, invece, tracciare solo i contorni di un istituto nuovissimo che doveva essere sperimentato dalla pratica prima di rivelare i tratti precisi della sua fisionomia: se da un lato, è pur vero che l’approccio all’istituto è stato fortemente condizionato da una tradizione non avvezza ad amministrare procedimenti di giustizia negoziata, dall’altro non si può negare che le difficoltà di coordinamento tra il patteggiamento e le regole di un ordinamento processuale collocato nell’ambito dei sistemi di civil law non sembrano essere soltanto il frutto di un pregiudizio culturale.
2017
978-88-9391-084-2
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