Studi recenti vanno via via mettendo in luce come, in età moderna, nonostante l’adozione delle norme sul maggiorascato, le asimmetrie tra uomini e donne e/o tra primogeniti e cadetti, all’interno delle famiglie nobili, fossero in realtà più flessibili e problematiche di quanto comunemente si pensa. I patti dotali, le scelte testamentarie femminili, l’impegno profuso nella costruzione di una carriera ecclesiastica o militare per i figli cadetti, la distribuzione del patrimonio familiare alla discendenza femminile, seppure attraverso una significativa gerarchia di priorità, erano comunemente in grado di riequilibrare, infatti, fortune e gerarchie familiari, che l’adozione della primogenitura sembrava aver fissato in maniera fin troppo rigida. Molto di certo ha contribuito a questo mutamento di prospettiva storiografica l’apporto che è venuto dalla storia delle donne che, con la sua rivendicazione della dimensione attiva e costruttiva dell’identità femminile, ha popolato il panorama storiografico di nobildonne che partecipavano energicamente alla gestione degli affari familiari, che tenevano i fili delle carriere e dei matrimoni dei propri figli, che alla morte del marito chiedevano la restituzione della dote e che con le loro disposizioni testamentarie riuscivano spesso a ribaltare le sorti e i destini di una famiglia. Accanto a questi percorsi più noti, vi è anche un altro apporto che è quello che venne alla storia della nobiltà e delle famiglie dalla trasmissione per linea femminile di titoli e patrimoni nobiliari, spesso “vie oblique” al processo di anoblissement. È quanto avvenne con una certa frequenza nella Napoli dei primi due secoli dell’età moderna, specie tra i gruppi ispanici di nuovo insediamento nel Regno, di cui in questo contributo si intende, appunto, far ragione attraverso l’analisi di qualche caso. Si trattò per lo più di togati o ufficiali spagnoli che acquisirono nel Regno il titolo grazie al matrimonio con una nobile ereditiera, ovviamente col consenso della Corona che in tal modo premiava le loro carriere e ne legittimava il percorso di ascesa sociale. L’adozione di una tale prospettiva di studio e di ricerca, ha consentito di far luce, in particolare, sul caso della famiglia Pinto de Mendoza, nobilitatisi a Napoli, col titolo di principi di Ischitella, nel 1681. Il percorso di ascesa sociale della famiglia proveniva, però, da più lontano. Il padre del futuro principe di Ischitella, Luís Freytas Pinto e sua moglie Catarina de Mendoza, erano originari, infatti, della città di Porto, in Portogallo. Come i suoi fratelli e, prima di loro, i loro avi, Luís Pinto aveva già accumulato diverse fortune grazie al commercio con le Indie portoghesi e a un grosso giro di affari sulle maggiori piazze finanziarie del tempo non solo europee, quando, nel 1631, arruola una compagnia di corazzieri al servizio della Infanta Isabella Clara nelle Fiandre, dove militerà per due d’anni. Trasferitosi da lì a Napoli, nei mesi della rivolta del 1647 e anche in seguito, contrarrà nuovi meriti al servizio del viceré duca d’Arcos. Alla fine, tutto il denaro così accumulato, fu investito e “messo in sicurezza” con l’acquisto, nel Regno, per suo figlio primogenito, prima dell’ufficio della Scrivania di Razione, e poi del feudo; mentre all’ultimogenito riservava l’ascesa al titolo nobiliare grazie al matrimonio con l’ereditiera della baronia di Montacuto. Così, negli anni in cui il processo di moltiplicazione di titoli e onori da parte della Monarquía toccava il suo apice, anche i Pinto de Mendoza, sul cui nome pure gravava una dubbia reputazione e il sospetto, neanche troppo infondato, di appartenere al gruppo dei conversos trasferitosi a suo tempo dalla Spagna in Portogallo, e di essere stati, ancora in pieno XVII secolo, in relazione d’affari, e non solo, con altri gruppi di ebrei, trovavano nel Regno di Napoli una riserva inesauribile di titoli e onori. Per farlo dovettero costruirsi, però, una certificazione documentaria in grado di legittimarne le origini e di cui gli archivi spagnoli e napoletani conservano ampie tracce. Da allora, la storia dei principi Pinto de Mendoza sarà una storia tutta napoletana.

Percorsi versatili e plurilocalizzati. Il network transcontinentale dei Pinto de Mendoza

NOVI CHAVARRIA, Elisa
2015-01-01

Abstract

Studi recenti vanno via via mettendo in luce come, in età moderna, nonostante l’adozione delle norme sul maggiorascato, le asimmetrie tra uomini e donne e/o tra primogeniti e cadetti, all’interno delle famiglie nobili, fossero in realtà più flessibili e problematiche di quanto comunemente si pensa. I patti dotali, le scelte testamentarie femminili, l’impegno profuso nella costruzione di una carriera ecclesiastica o militare per i figli cadetti, la distribuzione del patrimonio familiare alla discendenza femminile, seppure attraverso una significativa gerarchia di priorità, erano comunemente in grado di riequilibrare, infatti, fortune e gerarchie familiari, che l’adozione della primogenitura sembrava aver fissato in maniera fin troppo rigida. Molto di certo ha contribuito a questo mutamento di prospettiva storiografica l’apporto che è venuto dalla storia delle donne che, con la sua rivendicazione della dimensione attiva e costruttiva dell’identità femminile, ha popolato il panorama storiografico di nobildonne che partecipavano energicamente alla gestione degli affari familiari, che tenevano i fili delle carriere e dei matrimoni dei propri figli, che alla morte del marito chiedevano la restituzione della dote e che con le loro disposizioni testamentarie riuscivano spesso a ribaltare le sorti e i destini di una famiglia. Accanto a questi percorsi più noti, vi è anche un altro apporto che è quello che venne alla storia della nobiltà e delle famiglie dalla trasmissione per linea femminile di titoli e patrimoni nobiliari, spesso “vie oblique” al processo di anoblissement. È quanto avvenne con una certa frequenza nella Napoli dei primi due secoli dell’età moderna, specie tra i gruppi ispanici di nuovo insediamento nel Regno, di cui in questo contributo si intende, appunto, far ragione attraverso l’analisi di qualche caso. Si trattò per lo più di togati o ufficiali spagnoli che acquisirono nel Regno il titolo grazie al matrimonio con una nobile ereditiera, ovviamente col consenso della Corona che in tal modo premiava le loro carriere e ne legittimava il percorso di ascesa sociale. L’adozione di una tale prospettiva di studio e di ricerca, ha consentito di far luce, in particolare, sul caso della famiglia Pinto de Mendoza, nobilitatisi a Napoli, col titolo di principi di Ischitella, nel 1681. Il percorso di ascesa sociale della famiglia proveniva, però, da più lontano. Il padre del futuro principe di Ischitella, Luís Freytas Pinto e sua moglie Catarina de Mendoza, erano originari, infatti, della città di Porto, in Portogallo. Come i suoi fratelli e, prima di loro, i loro avi, Luís Pinto aveva già accumulato diverse fortune grazie al commercio con le Indie portoghesi e a un grosso giro di affari sulle maggiori piazze finanziarie del tempo non solo europee, quando, nel 1631, arruola una compagnia di corazzieri al servizio della Infanta Isabella Clara nelle Fiandre, dove militerà per due d’anni. Trasferitosi da lì a Napoli, nei mesi della rivolta del 1647 e anche in seguito, contrarrà nuovi meriti al servizio del viceré duca d’Arcos. Alla fine, tutto il denaro così accumulato, fu investito e “messo in sicurezza” con l’acquisto, nel Regno, per suo figlio primogenito, prima dell’ufficio della Scrivania di Razione, e poi del feudo; mentre all’ultimogenito riservava l’ascesa al titolo nobiliare grazie al matrimonio con l’ereditiera della baronia di Montacuto. Così, negli anni in cui il processo di moltiplicazione di titoli e onori da parte della Monarquía toccava il suo apice, anche i Pinto de Mendoza, sul cui nome pure gravava una dubbia reputazione e il sospetto, neanche troppo infondato, di appartenere al gruppo dei conversos trasferitosi a suo tempo dalla Spagna in Portogallo, e di essere stati, ancora in pieno XVII secolo, in relazione d’affari, e non solo, con altri gruppi di ebrei, trovavano nel Regno di Napoli una riserva inesauribile di titoli e onori. Per farlo dovettero costruirsi, però, una certificazione documentaria in grado di legittimarne le origini e di cui gli archivi spagnoli e napoletani conservano ampie tracce. Da allora, la storia dei principi Pinto de Mendoza sarà una storia tutta napoletana.
2015
978-84-9744-187-2
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11695/52772
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