Nell’offerta formativa contemporanea europea e in particolare italiana, si avverte un vuoto, antico quanto l’educazione, costituito dalla assenza, talora intenzionalmente voluta, di una adeguata forma di educazione economica, intesa come preparazione alla gestione delle proprie risorse esistenziali per il conseguimento di un accettabile livello di qualità della vita privata e sociale oltre che di un uso razionale delle risorse. La questione va segnalata non soltanto per il fatto che negli ultimi tempi si va avvertendo sempre più questa mancanza, senza che il mondo dell’educazione, perdendo un’occasione opportuna, abbia rivelato la sensibilità e la disponibilità per il suo accoglimento (vedi l’assetto del sistema dell’istruzione e dell’educazione sistematizzato nell’ultimo ventennio di riforme avviato agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso da L. Berlinguer e concluso alla fine del 2011 da M. Stella Gelmini), ma soprattutto perché permangono alcune cause teoriche che nel corso della storia dell’educazione hanno determinato questo rifiuto educativo. Sono, infatti, ancora diffuse nella cultura contemporanea posizioni teoriche sfavorevoli, quando non avverse, al riconoscimento dello spessore culturale e valoriale dell’economia, mentre permane il malinteso circa la sua natura epistemica tecnica provenienti da correnti filosofiche affermate nel pensiero moderno e contemporaneo; così anche è ancora presente il pregiudizio al conseguimento dell’utile, come fine qualitativo dell’agire umano: sono diffusi pregiudizi ed ostacoli di vario genere, compresi quelli morali, che irretiscono l’intrapresa individuale come iniziativa del soggetto per la sua espressione e per il soddisfacimento delle aspettative individuali ecc. Contestualmente all’educazione alla comunicazione, alla scienza, all’arte, all’individualità e alla relazionalità è ormai non più procrastinabile quella alla gestione razionale del proprio agire finalizzato nel rispetto della natura in tutte le sue espressioni.

Il vuoto dell’educazione

REFRIGERI, Luca
In corso di stampa

Abstract

Nell’offerta formativa contemporanea europea e in particolare italiana, si avverte un vuoto, antico quanto l’educazione, costituito dalla assenza, talora intenzionalmente voluta, di una adeguata forma di educazione economica, intesa come preparazione alla gestione delle proprie risorse esistenziali per il conseguimento di un accettabile livello di qualità della vita privata e sociale oltre che di un uso razionale delle risorse. La questione va segnalata non soltanto per il fatto che negli ultimi tempi si va avvertendo sempre più questa mancanza, senza che il mondo dell’educazione, perdendo un’occasione opportuna, abbia rivelato la sensibilità e la disponibilità per il suo accoglimento (vedi l’assetto del sistema dell’istruzione e dell’educazione sistematizzato nell’ultimo ventennio di riforme avviato agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso da L. Berlinguer e concluso alla fine del 2011 da M. Stella Gelmini), ma soprattutto perché permangono alcune cause teoriche che nel corso della storia dell’educazione hanno determinato questo rifiuto educativo. Sono, infatti, ancora diffuse nella cultura contemporanea posizioni teoriche sfavorevoli, quando non avverse, al riconoscimento dello spessore culturale e valoriale dell’economia, mentre permane il malinteso circa la sua natura epistemica tecnica provenienti da correnti filosofiche affermate nel pensiero moderno e contemporaneo; così anche è ancora presente il pregiudizio al conseguimento dell’utile, come fine qualitativo dell’agire umano: sono diffusi pregiudizi ed ostacoli di vario genere, compresi quelli morali, che irretiscono l’intrapresa individuale come iniziativa del soggetto per la sua espressione e per il soddisfacimento delle aspettative individuali ecc. Contestualmente all’educazione alla comunicazione, alla scienza, all’arte, all’individualità e alla relazionalità è ormai non più procrastinabile quella alla gestione razionale del proprio agire finalizzato nel rispetto della natura in tutte le sue espressioni.
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