«L’Italia è fatta, restano a fare gli Italiani». Questa frase, che Massimo D’Azeglio pronunciò al momento dell’unità d’Italia, suonò negli anni a venire come uno slogan nazionale e fu più volte riecheggiata in molti programmi del governo. Per quanto il senso di appartenenza a una comune identità italiana esistesse, almeno a livello delle élites colte, già da qualche secolo, quella frase penetrava, infatti, in molti aspetti della realtà effettiva della neonata Italia unita. Essa coglieva una effettiva distanza tra i gruppi politici e sociali più rappresentativi del movimento liberale e democratico, che avevano realizzato l’unificazione nazionale, e il popolo di cui quella nazione consisteva. «Fare gli Italiani» poteva dire sanare quella sfasatura, rafforzare una cultura nazionale, mettere in circolo idee, luoghi, immagini e simboli che appartenessero al comune sentire degli italiani. La fotografia si rivelò uno straordinario strumento per realizzare quello scopo. A cominciare dai fratelli Alinari, uno stuolo di fotografi, cominciò a raccogliere e catalogare le immagini di luoghi, paesaggi e monumenti d’Italia allo scopo di diffonderle tra un pubblico più vasto. Fu il grande momento dell’etnologia e del folklore. Giulio Parisio partecipò di quella stagione culturale sin dai suoi esordi nell’arte fotografica. Artista eclettico, in grado di esprimere molte tendenze della fotografia artistica e documentaristica dei suoi tempi, egli arriva a Isernia nel 1923, inaugurandovi la sua personale stagione di fotografia antropologica. A differenza di altri che lo avevano preceduto in quel medesimo percorso, spesso portandovi l’occhio estraneo di chi nella realtà del Mezzogiorno ravvisava soltanto un che di “esotico”, o peggio di “diverso”, Parisio è attento alla dimensione antropologico-culturale.

Isernia attraverso l'obiettivo di un Maestro del primo Novecento

NOVI CHAVARRIA, Elisa;MANCINI, Massimo
2011-01-01

Abstract

«L’Italia è fatta, restano a fare gli Italiani». Questa frase, che Massimo D’Azeglio pronunciò al momento dell’unità d’Italia, suonò negli anni a venire come uno slogan nazionale e fu più volte riecheggiata in molti programmi del governo. Per quanto il senso di appartenenza a una comune identità italiana esistesse, almeno a livello delle élites colte, già da qualche secolo, quella frase penetrava, infatti, in molti aspetti della realtà effettiva della neonata Italia unita. Essa coglieva una effettiva distanza tra i gruppi politici e sociali più rappresentativi del movimento liberale e democratico, che avevano realizzato l’unificazione nazionale, e il popolo di cui quella nazione consisteva. «Fare gli Italiani» poteva dire sanare quella sfasatura, rafforzare una cultura nazionale, mettere in circolo idee, luoghi, immagini e simboli che appartenessero al comune sentire degli italiani. La fotografia si rivelò uno straordinario strumento per realizzare quello scopo. A cominciare dai fratelli Alinari, uno stuolo di fotografi, cominciò a raccogliere e catalogare le immagini di luoghi, paesaggi e monumenti d’Italia allo scopo di diffonderle tra un pubblico più vasto. Fu il grande momento dell’etnologia e del folklore. Giulio Parisio partecipò di quella stagione culturale sin dai suoi esordi nell’arte fotografica. Artista eclettico, in grado di esprimere molte tendenze della fotografia artistica e documentaristica dei suoi tempi, egli arriva a Isernia nel 1923, inaugurandovi la sua personale stagione di fotografia antropologica. A differenza di altri che lo avevano preceduto in quel medesimo percorso, spesso portandovi l’occhio estraneo di chi nella realtà del Mezzogiorno ravvisava soltanto un che di “esotico”, o peggio di “diverso”, Parisio è attento alla dimensione antropologico-culturale.
2011
978-88-9538-711-6
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