Il saggio affronta il problema dell’alterità a partire da una figura concreta di Altro: l’altro disabile. Muovendo da una prospettiva sociologica si propone una ricostruzione del processo mediante il quale si cristallizza un’identità della persona disabile che è sempre in bilico fra il tentativo di ricondurre la disabilità a una qualche forma di alterità «di fatto» e una sua definizione nei termini dei giudizi di valore condivisi e imposti all’interno di un gruppo sociale che stabilisce i canoni della «normalità». L’analisi si sofferma in particolare sui concetti di «sguardo», «stigma» e di «normalità», per mostrare come in fondo l’alterità della persona disabile si configuri come una relazione costruita ricorrendo all’aspetto medico – che costruisce il disabile come a-normale -, e all’aspetto più generalmente sociale che lo intende come «categoria oppressa». La conclusione cui si perviene è che l’identità sociale della persona disabile non possa essere costruita a prescindere dall’assumere il corpo come «entità prediscorsiva» che precede la sua trasformazione in narrazione sociale. Ciò allo scopo di recuperare il ruolo dell’identità sociale nella quale le alterità, compresa quella del disabile, finiscono per essere sottoposte anche a relazioni di potere.

La disabilità: differenza e alterità fra natura e cultura

FERRUCCI, Fabio
2006-01-01

Abstract

Il saggio affronta il problema dell’alterità a partire da una figura concreta di Altro: l’altro disabile. Muovendo da una prospettiva sociologica si propone una ricostruzione del processo mediante il quale si cristallizza un’identità della persona disabile che è sempre in bilico fra il tentativo di ricondurre la disabilità a una qualche forma di alterità «di fatto» e una sua definizione nei termini dei giudizi di valore condivisi e imposti all’interno di un gruppo sociale che stabilisce i canoni della «normalità». L’analisi si sofferma in particolare sui concetti di «sguardo», «stigma» e di «normalità», per mostrare come in fondo l’alterità della persona disabile si configuri come una relazione costruita ricorrendo all’aspetto medico – che costruisce il disabile come a-normale -, e all’aspetto più generalmente sociale che lo intende come «categoria oppressa». La conclusione cui si perviene è che l’identità sociale della persona disabile non possa essere costruita a prescindere dall’assumere il corpo come «entità prediscorsiva» che precede la sua trasformazione in narrazione sociale. Ciò allo scopo di recuperare il ruolo dell’identità sociale nella quale le alterità, compresa quella del disabile, finiscono per essere sottoposte anche a relazioni di potere.
2006
88-7313-176-X
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